Di certo Federico Zampaglione anima e deus ex machina dei Tiromancino non soffre di anoressia creativa. Tutt’altro. Musica, cinema, scrittura sono le pietre angolari sulle quali si poggia il suo essere artista totale. Zampaglione è, infatti, tra i pochi in Italia ad avere consapevolezza di cos’è la musica e cos’è il cinema e lo fa agendo più su pedali che spingono intelligentemente la sua creatività verso griglie consolidate e da scardinare che su velleità autoriali. Quest’ultima: malattia di molti «creativi» italiani. E fortunatamente evitate nella profonda esplorazione sia della forma canzone sia nei generi cinematografici. Da qui la passione per l’horror, il grottesco, la commedia estrema degli anni ’70 che gli ha consentito di conseguire una certa e non scontata originalità.

L’USCITA del nuovo lavoro discografico, Ho cambiato tante case (Virgin Records, disponibile dall’8 ottobre), dà l’opportunità di imbastire una chiacchierata su alcuni dei temi più cari al cantante e regista romano. «Ho cominciato a lavorare alle canzoni e a un futuro disco già nel 2018. Avevo già L’odore del mare ma non Carmen Consoli, che si è aggiunta dopo», dando luogo ad uno dei momenti più felici di un disco importante dove non è più immaginato, ma diventa reale un dialogo generazionale con alcune delle leve della nuova canzone italiana.
«Come dicevo, avevo registrato a Milano con Jason Rooney alcune tracce. Poi all’improvviso è arrivata la pandemia. E allora mi sono dedicato al mio film». Dunque finito Morrison, il film parla di un musicista con qualche nota autobiografica e un paio di pezzi del disco appartengono alla colonna sonora, le canzoni erano si può dire pronte? «Alcune le ho scritte con giovani cantautori come Franco126, Galeffi, Leo Pari, quella con Gazzelle, Cerotti, già c’era». «A ben vedere la gestazione è stata un po’ lunga, ma preferisco così piuttosto che lavorare con tempi strettissimi. Tanto oggi come oggi a cosa vale fare un disco tanto per farlo e a me sta a cuore curare ogni aspetto e dettaglio delle composizioni e dell’intero album».

INTERESSANTE è la relazione instaurata con la nuova generazione cantautorale: «Ho trovato degli interlocutori che hanno la mia stessa sensibilità e il mio modo di scrivere canzoni, e questa nuova leva di cantautori mi ha dato la possibilità di tornare a riflettere anche sui miei esordi». La traccia forse più autobiografica è Testaccio Blues dedicata a Roberto Ciotti, ma anche nelle altre si conserva un modo riconoscibile di mescolare tutto un mondo interiore alla vita della città in cui abita: «Sì, Roma è molto particolare, ti consente di scrivere in un certo modo, che ritrovo anche nel nuovo cantautorato, ti accarezza e ti bastona, insomma ti spinge a doverti sempre guadagnare la pagnotta».