Roma è una catastrofe annunciata. Non è un giudizio dettato da pessimismo; è ciò che quotidianamente appare agli occhi dei suoi abitanti. Un malato terminale la cui malattia non ha mai termine, una città che non ce la fa a diventare moderna, soffocata dal peso ingombrante della sua bellezza e della sua storia e, ora, del suo degrado. Rassegnazione, impotenza e angoscia sono gli stati d’animo prevalenti nei cittadini. Emblematica in proposito è la frase pronunciata dal proprietario del Baraka bistrot a Centocelle, dato alle fiamme dopo il rogo di Pecora Elettrica, non si può lottare contro una cosa che non sai cos’è.

In vista del prossimo appuntamento elettorale del 2020 per eleggere il nuovo Sindaco, circolano voci di improbabili candidati; ogni partito ne ha almeno uno, come fosse questo il problema. La questione romana non si riduce semplicisticamente con l’elezione di un buon Sindaco, pur volenteroso e magari competente; non inganniamoci, non basterebbe: la città ha bisogno di una prospettiva di riscatto, di come ristabilire condizioni di vivibilità e convivenza da lungo tempo compromesse che nessun uomo d’apparato sarebbe capace di realizzare e, forse, nemmeno di immaginare. Non si tratta di trovare le giuste alchimie politiche; occorre dare voce a tutte quelle iniziative ed esperienze virtuose che sono presenti, seppure non riconosciute, nella città.

Serve un grande risveglio popolare: una lista civica, magari, che rappresenti tutte quelle forze che al momento sono escluse dalla competizione elettorale tra partiti e che pure danno continuamente segnali di come la città potrebbe essere e non è. Non si tratta della solita retorica della partecipazione, pilotata e manipolata dall’alto. Si tratta di portare al governo della città quelle voci afone di indignazione e di silenziosa protesta che altrimenti prenderanno la strada del voto ai populisti, a coloro che si dichiarano i rappresentanti del popolo offeso e ferito, ma pur sempre passivo.

La Sindaca Raggi e la sua corte dei miracoli è stata, a detta di tutti, assolutamente incapace di governare la città, aggravando i già storici mali. Ma qualsiasi altro Sindaco, al netto delle sue promesse elettorali, si troverebbe di fronte a problemi irrisolvibili: il tema della mobilità, quello dello smaltimento dei rifiuti, quello dell’accoglienza ai senza casa e agli immigrati, quello delle enormi disuguaglianze messe ora in luce dai bravi ricercatori di mapparoma.
Qualsiasi partito potrebbe al più rimediare a qualche inefficienza, mettere una “toppa”, senza riuscire a invertire la direzione del degrado della città divenuta una enorme piazza dello spaccio (da Centocelle, al Pigneto, a Tor Bella, al Quarticciolo, a San Lorenzo, fino a Roma nord).

Ci vuole una grande assemblea cittadina organizzata da comitati, studiosi e ricercatori, Caritas, Libera e tutte quante le altre organizzazioni e tutti gruppi che quotidianamente fanno opere di supplenza affinché il degrado civile e morale non dilaghi, un’assemblea permanente che coinvolga le periferie e l’intera città in nome di un riscatto da tanto tempo atteso.

Non è una dolce utopia, sappiamo quanto i gruppi siano gelosi della loro identità, ma è l’unica prospettiva per far rinascere una speranza; la speranza che questa città assuma finalmente le caratteristiche di una vera Capitale e smascheri la falsa contrapposizione con Milano, considerata la vera città moderna.

Un’assemblea permanente che metta insieme anche tutti quegli intellettuali che, isolatamente, si sono espressi in tutti questi anni e che ora assistono impotenti allo sfascio dilagante e i cittadini cui è stata tolta ogni rappresentanza. È un compito in controtendenza con tutto quello che vediamo e accade: difficile da realizzare, forse un’impresa utopica, ma una terza via non è data.

Gli abitanti non ne possono più, di metro che non arrivano da nessuna parte, di scale im-mobili, di buche, di ore passate in auto per entrare in città, di autobus che periodicamente si incendiano, di lunghe file in attesa di un autobus o di un taxi, di alberi che cadono alla prima pioggia autunnale, di aggressioni e incendi ai luoghi simbolici della democrazia (Centocelle, ma non solo), di colpevole incompetenza e incuria come se ogni giorno dovessero affrontare una silenziosa guerra non dichiarata ma che fa parte del normale vivere quotidiano.

Le ricette per far rinascere la città non ci sono perché un dibattito allargato sulla città è assente da anni; la cronaca si interessa ad essa solo quando c’è un delitto, uno stupro ad opera di un immigrato, un guidatore dell’Atac aggredito da teppisti, ma il malato peggiora e nessuno sa quale cura usare. Eppure qualcosa da cui iniziare ci sarebbe, ma fuori dalla politica mainstream, in quella fucina di esperienze virtuose che costituiscono la vera seconda bellezza della città. Rompere l’incantesimo di una città stregata sarebbe un bel segnale per l’intero Paese.