«Certo che il funerale di Vittorio Casamonica è stato un grave smacco alla città e al Paese, certo che l’inequivocabile utilizzo dei rituali tipici delle organizzazioni mafiose, l’ostentazione di prepotenza e arroganza, dimostrano il potere di un clan che controlla di sicuro una parte della Capitale. Però paradossalmente sono contento che si sia verificato questo episodio, è stato una sorta di vaccino al negazionismo contro il quale noi operatori di giustizia combattiamo da anni. Adesso sono certo che un episodio del genere non potrà mai più accadere a Roma, perché d’ora in poi scatteranno tutti i campanelli d’allarme che non sono scattati in questa occasione. E le istituzioni faranno il loro lavoro e il loro dovere». Malgrado le notizie che arrivano da Roma stiano funestando la sua vacanza all’estero, l’assessore alla legalità Alfonso Sabella, già magistrato del pool antimafia di Palermo, prova a lanciare un «messaggio di speranza».

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Assessore, dunque Roma può essere attraversata da un corteo funebre di migliaia di persone e centinaia di auto, può essere sorvolata illegalmente con lancio di oggetti (proprio mentre si discutono le nuove norme sui droni, ipotizzandone l’uso criminale e terroristico) e si possono appendere mega manifesti sulle facciate delle chiese senza che nessuno se ne accorga. Oppure Vittorio Casamonica era davvero uno dei Re di Roma?

Beh, almeno adesso nessuno potrà più dire che a Roma la mafia non esiste. Il clan dei Casamonica, come quello dei Fasciani o degli Spada a Ostia, sono organizzazioni mafiose di vecchio stampo, che controllano il territorio. Con questo funerale sono stati mandati messaggi chiarissimi: la carrozza coi cavalli, tipica dei capi mafia siciliani degli anni ’70, la Rolls Royce che non manca mai, la musica del Padrino che era pure la colonna sonora del video nel matrimonio di Leoluca Bagarella, il rapporto strano e anomalo con la Chiesa…

Strano e anomalo? Basterebbe ricordare che il boss della banda della Magliana, Renatino De Pedis, era sepolto nella cripta della basilica di Sant’Apollinare.

Non ho mai visto una camera della morte, cioè quei posti dove venivano uccise e sciolte nell’acido le persone, che non avesse immagini sacre appese alle pareti. E quando ho arrestato Pietro Aglieri, detto u signurino, allora numero due di Cosa Nostra, l’ho fatto seguendo un frate. Insomma, i rapporti della mafia con la Chiesa non sono nuovi. Anche se questo caso credo sia diverso, certo però quel cartellone appeso all’ingresso della basilica di Cinecittà andava almeno rimosso. Comunque faccio l’assessore alla legalità, non al Vaticano.

E come si riporta la legalità in una città così degradata, al di là delle poche violazioni di norme che si sono compiute durante questi funerali?

In ogni caso, per quanto riguarda la competenza comunale, quando tornerò mi voglio togliere una piccolissima soddisfazione: andare a verificare se si possono applicare sanzioni per aver insozzato Roma con lancio di oggetti dall’elicottero. Però mi faccia dire che questo evento è servito a far maturare gli anticorpi che eviteranno il ripetersi di tali situazioni. Mi spiego: al funerale di Luciano Liggio, capo clan assoluto di Cosa Nostra, sono andate al massimo venti persone e non c’è stato alcuno sfarzo. Perché in quel momento lo Stato era attento, aveva le antenne drizzate e messo in moto tutte le misure affinché quelle esequie si potessero svolgere nel modo più sobrio possibile.

Dunque, in questo momento a Roma lo Stato è «distratto»?

Non è così: a Roma ancora non c’era una presa d’atto dell’esistenza della mafia. Non siamo a Palermo, a Platì oppure a Reggio Calabria. Qui dovevano funzionare diverse cose, tutte insieme, ma ne è saltata una e il meccanismo di allerta si è sfaldato. Così nessuno ha fatto niente per impedire una tale spettacolarizzazione nella capitale. Si sarebbe potuto intervenire con piccoli accorgimenti, come abbiamo fatto a Palermo, riuscendo a frenare questi fenomeni ancora prima di assestare colpi mortali alla mafia. È importante, perché si deve dimostrare a tutti che lo Stato è più forte dei clan. E soprattutto si sarebbe dovuto andare a monitorare chi c’era e chi non c’era, a questi funerali. Spero proprio che sia stato fatto: i vecchi brogliacci dei carabinieri, dove si prendeva nota delle presenze e delle assenze nelle cerimonie dei clan, erano materiale preziosissimo per capire gli equilibri interni alle mafie. Non dico che non ci sia la responsabilità un po’ di tutti: le istituzioni hanno commesso dei peccati, ma veniali: c’è stata una sottovalutazione, con l’attenuante di essere impreparati.

Sta dicendo che malgrado il vaso di Pandora sia stato scoperchiato dall’inchiesta Mafia Capitale, finora nulla è cambiato nel sistema di allerta istituzionale?

Distinguiamo i fenomeni. Mafia Capitale è diversa dalle mafie più tradizionali: la sua forza non sta nel controllo del territorio, quanto delle amministrazioni. Buzzi e Carminati potevano avere rapporti con i clan, ma in sostanza Roma è una città più corrotta che mafiosa, anche se vede la presenza di associazioni mafiose. Però fino a qualche tempo fa ciò veniva radicalmente negato. D’ora in poi, sono sicuro, tutto cambierà. Adesso la capitale ha preso atto della propria fragilità. E paradossalmente credo che da questo momento in poi Roma diventerà più sicura.