Sgomberare i rom e superare i campi. Questo si dice in campagna elettorale a Roma, e non solo. Alfio Marchini è arrivato a stampare maximanifesti in cui sostiene di sentirsi «Libero di sgomberare i campi rom». Questi slogan, e altre dichiarazioni, vanno messi alla prova della realtà. E la realtà racconta qualcos’altro: si sgombera per fini elettorali, si crea un’emergenza umanitaria, si disperdono le famiglie negli altri campi.

Martedì 10 maggio, in via dei Mirri, zona Portonaccio, cinquecento persone rom di origine rumena, tra cui donne incinte, anziani, malati e circa 250 minori, anche di pochi mesi, sono state sgomberate. Vivevano in un ex deposito della Cotral, l’azienda dei trasporti regionali, abbandonato da anni. La comunità lo aveva occupato da tre anni. Ogni nucleo familiare si era auto-costruito monolocali e baracche. Con il supporto di varie associazioni si è lavorato con successo all’integrazione di un centinaio di bambini rom. Lo sgombero ha spezzato il fragile equilibrio. I bambini non sono andati più alla scuola elementare Randaccio. Gli insegnanti e i piccoli compagni di classe si sono mobilitati.

«Nella mia classe erano quattro – racconta Carmela, insegnante alla Randaccio – hanno lasciato un vuoto terribile. Non sappiamo dove sono finiti. Queste sono cose difficile da spiegare ai bambini: gli abbiamo detto che i compagni avevano una casa, a modo loro, e avevano diritto all’istruzione e a una vita uguale per tutti. Inizialmente c’era stato l’impegno di riportarli a scuola, poi ci hanno detto si vedrà. In politichese questo significa che non se ne farà nulla. Sono convinta che è sia stata un’operazione elettorale, hanno voluto dare l’impressione che questo è l’unico problema di Roma. I problemi ci sono, ma vanno affrontati con il dialogo. Cosa che non è avvenuta quella mattina».

Lo sgombero è avvenuto a seguito del crollo di una parte del tetto del capannone occupato a marzo a causa delle piogge. L’estrema destra di Casa Pound ha usato tale crollo per chiedere lo sgombero in nome della sicurezza per chi ci abita. Lo sgombero è poi effettivamente avvenuto, senza nel frattempo avere creato un’alternativa per i residenti. Inascoltata è rimasta la loro disponibilità a ripagare le spese della ristrutturazione.

«Le autorità locali si sono dimostrate incapaci di affrontare le problematiche di carattere sociale della città, se non attraverso la reiterazione di un approccio basato sull’emergenza e sulla sicurezza» sostiene l’Associazione 21 luglio che ha denunciato la violazione degli obblighi internazionali dello Stato italiano, in particolare in materia di diritto a un alloggio adeguato. «Malgrado sia stato annunciato che 300 persone siano state ricollocate, chiediamo dove e come siano stati ricollocati e che soluzione s’intenda trovare per le persone non ancora ricollocate. Ai rom viene vietato un alloggio regolare e socialmente non segregante.

Ad avere creato questa situazione ci sono anche i criteri di accesso agli alloggi di edilizia popolare che direttamente o indirettamente li discriminano» ha scritto in una lettera aperta la rete sociale di CasalBertone composta dal centro sociale Strike, la fabbrica occupata Officine Zero, le associazioni Amisnet; Anpi, Yo Migro e Resistenze Meticce. Ad oggi si ha notizia di un ricollocamento di undici persone, tra donne e bambini in strutture di accoglienza. La maggior parte ha rifiutato la separazione del nucleo familiare. Lasciati per strada, qualcuno è tornato in Romania, la maggior parte sembra essersi ricollocato in altri campi rom della Capitale.

Insieme al candidato sindaco di Roma Stefano Fassina. i deputati di Sinistra italia Giovanna Martelli e Arturo Scotto hanno scritto una lettera alla Commissione Europea sul caso di via dei Mirri in cui denunciano la violenza degli sgomberi e l’inesistenza di un piano di ricollocamento nella Capitale. «Il governo – scrivono – deve approntare un piano di investimenti per evitare che i Rom siano confinati nei campi.