l pericoloso parassita, Toumeyella parvicornis, che può infettare tutti i pini di Roma in breve tempo e diffondersi nel resto della penisola; gli abbattimenti massivi; le capitozzature con tagli di rami fino a creare monconi orrendi e dannosi per la pianta; le potature nei periodi di fioritura e nidificazione. La mattanza degli alberi della capitale non si ferma. In difesa degli alberi scendono però in strada i cittadini, con comitati di quartiere e associazioni.

IL PATRIMONIO ARBOREO DEI ROMANI e della città metropolitana di Roma conta 312.583 alberi, di questi 119 mila sono alberature stradali, secondo l’ultimo censimento del 2016: 51 mila pini, 38 mila querce, 29 mila robinie, e così via, fino ad arrivare all’unico esemplare di Tipuana o di Tecoma. É un ecosistema immenso aperto alla vita che si è sviluppato nei decenni in ogni albero. Uccelli, insetti, funghi, specie vegetali. E ovviamente l’uomo. Che sopravvive anche grazie agli alberi, quelli sui cigli delle nostre strade, nelle piazze, nei parchi. Quelli che rendono le nostre città vivibili, oltre che più belle. Le imponenti fronde che rinfrescano le panchine nei pomeriggi d’estate, quando l’asfalto tremola per il caldo asfissiante.

NEGLI ULTIMI ANNI E’ CRESCIUTA l’attenzione per il verde urbano e, oltre alle associazioni ambientaliste, nei quartieri della capitale sono nati spontaneamente comitati cittadini, coordinamenti e gruppi informali: Tor Carbone-Fotografia, Monteverde, Gianicolo, Prati, Trionfale, Trieste. La lista copre tutti i quartieri di Roma. Il numero dei cittadini che hanno deciso di autorganizzarsi è altissimo. La spinta per la vita del verde urbano viene dal basso. Lotta che però non può essere vinta finché non cambia l’approccio alla gestione del patrimonio arboreo.

SONO INFATTI OLTRE 10 MILA GLI ALBERI che il comune di Roma ha fatto abbattere nella città dal 2013, per pericolo imminente di caduta, perché malati, perché già morti. Piante alte come palazzi abbattute molto spesso in emergenza. Un’emergenza che dura da otto anni. Nonostante le numerose proteste dei cittadini e dei comitati di quartiere nel 2013 sono stati 1600 i fusti tagliati, 961 l’anno successivo, 700 nel 2015, nel 2016 abbattuti 1.483 alberi, 1.251 per il 2017, 1.072 nel 2018, 1.360 nel 2019 e 2.555 nel 2020. Un bilancio che è un bollettino di guerra.

L’ABBATTIMENTO DI OGNI ALBERO può essere una fonte molto redditizia per le imprese che si occupano di «manutenzioni» degli alberi e le perizie di valutazione vengono eseguite spesso da esperti nominati dalla stessa ditta appaltata per gli abbattimenti, e non sempre da tecnici comunali. Un esempio è il taglio di massa effettuato nel 2019 sulle acacie di via Leone IV, a cavallo tra il quartiere Prati e Trionfale: tutti gli alberi del lungo viale sono stati tagliati e non sostituiti. «Tra Prati e Trionfale negli ultimi anni sono stati tagliati 1600 alberi – riferisce Paola De Vecchis, presidente del comitato Trionfalmente17 – quello che è successo in via Leone IV è uno scempio. In più il comune ci ha detto di non avere fondi per piantare nuovi alberi, e alcuni cittadini si sono attivati raccogliendo autonomamente somme condominio per condominio, ma gli alberi che siamo riusciti a comprare sono pochi, anche perché molto costosi: un platano ha un prezzo che può variare dalle 250 euro ai 5.000». NON

TUTTE LE BATTAGLIE DEI CITTADINI tuttavia sono andate perdute. Il bilancio di questa decapitazione di massa poteva essere più grave; mattanza, non in altro modo si può chiamare infatti l’abbattimento di piante vive, con un’età che si misura in decenni, se ci rapportiamo agli alberi come a esseri viventi ai quali dobbiamo cura, e non ad essi come a suppellettili urbani a cui dover fare manutenzione. Questo infatti è il cambiamento di prospettiva e di approccio che ci si auspica. Emblematico è il caso di corso Trieste, dove le motoseghe erano pronte per l’abbattimento di 60 dei 160 pini presenti per questioni di stabilità. Dopo le furiose proteste del comitato di quartiere e degli attivisti di «salviamo i pini di corso Trieste» sono state eseguite nuove misurazioni strumentali. Risultato: gli alberi da abbattere erano 16.

ANCHE I PLATANI DELLA STAZIONE TIBURTINA hanno una storia simile: sono 80 le piante da abbattere per la riqualificazione del piazzale ovest della stazione. L’associazione Rinascita Tiburtina e il comitato cittadini stazione Tiburtina si sono ribellate, e, dopo delle perizie esterne che hanno confermato la buona salute degli alberi, sono ancora in lotta per salvare le piante. Importante è stato l’incremento di nuovi alberi piantati, oltre 8.000 negli ultimi 2 anni: 5.542 nel 2019 e 1.835 nel 2020, mentre negli anni precedenti i numeri degli alberi messi a dimora andavano dai 257 del 2015 ai 148 del 2018. Molti di questi alberi sono stati donati dai comitati di quartiere. Il problema degli abbattimenti però rimane, visto che «non è possibile sostituire una vita con un’altra» spiega Carlo Mascioli, dottore forestale e consulente dell’Associazione nazionale per la tutela del patrimonio storico, artistico e naturale Italia Nostra; «men che meno una vita che rappresenta un ecosistema ricco di biodiversità formatosi in decenni di crescita. I piccoli alberelli piantati avranno grandi fronde e saranno la casa di uccelli tra molti anni; molto diverso è l’abbattimento di anidride carbonica, l’abbassamento di temperatura garantito dalle folte chiome».

IN PIÙ VA PRESO ATTO CHE MOLTE delle nuove piante messe a dimora, e che abbisognano di cure costanti sono seccate in breve tempo. I casi di piante morte poco dopo la messa a dimora sono davvero molti. E poi c’è la vera emergenza, quella della «cocciniglia tartaruga» (Toumeyella parvicornis), un parassita arrivato in Italia, a Napoli, nel 2015 dal nord America, che attacca il pino domestico, specie arborea simbolo di Roma, con «una spirale di deperimento e un progressivo disseccamento delle chiome fino alla morte degli alberi», come spiega un documento redatto da Mascioli e diffuso da Italia Nostra.

IL PERICOLOSO PARASSITA E’ STATO OSSERVATO dal 2018 nel sud del territorio romano, con una rapida diffusione che ormai investe gran parte del territorio all’interno del Gra. Come per la maggior parte dei parassiti arrivati da altre parti del pianeta anche per la Cocciniglia tartaruga non esiste un antagonista naturale, perciò si diffonde molto rapidamente. L’università Federico II di Napoli però ha studiato e sperimentato con esito positivo una cura, consistente nella somministrazione di un fitofarmaco nella pianta, che porta alla guarigione della stessa se somministrato in tempo.

«SE NON CI MUOVIAMO IN FRETTA ENTRO UN ANNO i pini di Roma saranno compromessi – spiega Mirella Di Giovine, del direttivo di Italia Nostra – l’amministrazione Capitolina sta continuando a tergiversare, parlando di sperimentazioni, che però non servono più perché il fitofarmaco è già stato sperimentato e funziona. Ora si deve agire. Si deve stilare un piano per la cura, un programma, emanare un bando per trovare aziende specializzate nella somministrazione del farmaco. Basta perdere tempo o perderemo i nostri pini». Le previsioni sembrano catastrofiche dunque, eppure non è una questione di costi, visto che il metodo endoterapico comporta una spesa che può variare dai 50 ai 100 euro per pianta, mentre il costo medio per l’abbattimento di un Pinus pinea di 60 anni posizionato su strada si aggira intorno ai 1200 euro.

IL 5 AGOSTO SCORSO, INOLTRE, CON UNA DELIBERA di giunta, la Regione Lazio ha approvato il Piano regionale per il contrasto alla Toumeyella parvicornis, mettendo a disposizione già da aprile scorso 500 mila euro. Il piano «dovrà essere attuato da tutti i soggetti coinvolti» si legge nella delibera, ma Roma fa orecchie da mercante, e il tempo passa, la Cocciniglia si diffonde, e i pini sono sempre meno. Finalmente però il comune si auto regolamenta sul verde urbano, ultima tra le capitali europee, dopo un iter iniziato nel 2013 che ha visto la partecipazione di tanti attori oltre agli addetti del Campidoglio, tra associazioni ambientaliste, comitati di quartiere e ordini professionali competenti. Una misura importante il «Regolamento del verde pubblico e privato e del paesaggio urbano di Roma Capitale», operativo dal 15 maggio scorso, che mette ordine in una materia dove, fino ad ora, l’ha fatta da padrone il caos.

UN DISORDINE CHE HA GENERATO il perenne stato di emergenza sulle alberature, con pratiche non adeguate, se non nocive, alla cura del verde. Sono tanti infatti i casi di piante che hanno cominciato a seccarsi dopo le potature, perché eseguite successivamente alla data limite del 30 marzo, quando cominciano la fioritura e le nidificazioni. Oppure di alberi seccati e indeboliti dalle pratiche di «capitozzatura», ossia di taglio dei rami molto vicino al tronco centrale, creando così dei monconi. Pratica ormai vietata perché dannosa per la pianta però ancora usata da alcune ditte appaltate: «Il problema è che le ditte selezionate a volte non hanno all’interno personale competente – spiega il forestale Carlo Mascioli di Italia Nostra – ci sono delle certificazioni riconosciute a livello europeo che garantiscono la formazione degli addetti che dovrebbero essere obbligatorie per lavorare sulle piante, invece non lo sono».

E ANCORA: «ECCO PERCHÉ SI FANNO capitozzature che uccidono negli anni le piante. Un albero di trent’anni, che nella sua vita ha subito 5 o 6 capitozzature, è molto probabile che oggi sia debole, quindi pericoloso in caso di temporali o forte vento. Ecco come si crea l’emergenza. Queste cattive pratiche inoltre rappresentano un grave danno erariale, oltre che al patrimonio arboreo. Bisognerebbe chiedersi chi paga tutto questo».