L’ottanta per cento dei 24 mila dipendenti pubblici di Roma sciopera oggi per il rinnovo del contratto e il salario accessorio. Tutti i principali monumenti della città saranno aperti per mezza giornata. Previsto in corteo che arriverà in Campidoglio. Dopo sette mesi di gestione della città, il commissario Tronca non è riuscito a risolvere il problema che assilla la prima azienda della capitale: il recupero del potere di acquisto dei salari impoveriti. L’amministrazione è riuscita a rendere spendibili tutti i 157 milioni di euro tagliati in maniera unilaterale dalla giunta di Ignazio Marino, ma li redistribuisce con il contagocce. L’atto di Marino provocò il primo, clamoroso, sciopero generale dei dipendenti contro un sindaco e una maggioranza di «centro-sinistra». I mesi di trattativa per rimediare a due anni di penalizzazioni economiche dei dipendenti, non sono serviti ad arrivare alla firma di un nuovo contratto.

Per i sindacati, la spinta ad andare fino in fondo allo sciopero è arrivata dalle buste paga di maggio e giugno: «sembra che le quote tagliate nel 2015 non saranno distribuite» sostengono Cgil, Cisl e Uil Roma e Lazio – come da assicurazioni fornite e da impegni presi sul tavolo di confronto. Ancora una volta chi ha la responsabilità di gestire Roma Capitale viene sconfessato dall’apparato burocratico». Il problema non è tecnico, ma sostanziale: il taglio al salario accessorio ha inciso per 300-400 euro mensili su stipendi di 1200-1500 al mese. Cifre insostenibili per chi vive nella Capitale. Per i sindacati la quota del salario accessorio va legata in parte alla produttività e in parte agli incarichi e ai turni. Alle motivazioni dello sciopero si aggiungono le richieste del rinnovo del contratto nazionale e dello sblocco della contrattazione integrativa. Al governo i sindacati chiedono di superare il blocco del turn over. La campagna negativa contro i dipendenti pubblici, sostengono i sindacati, ha nascosto le origini della crisi che ha travolto i servizi pubblici: l’appalto e l’esternalizzazione ai privati hanno creato un dumping salariale tra gli operatori pubblici e privati che erogano gli stessi servizi. Questa situazione interessa la sanità, oltre ai ministeri, all’Inps e all’Inail dove il blocco del turn-over ha provocato una diminuzione di 28 mila unità e ha provocato un aumento dell’età media dei dipendenti che supera i 50 anni. L’insieme di questi fattori ha danneggiato i lavoratori e ha contribuito al peggioramento dei servizi. La causa sta nelle politiche di austerità, non nella volontà di non lavorare.

«Il reiterato blocco contrattuale, giudicato peraltro illegittimo dalla Corte Costituzionale, è assolutamente inaccettabile. Che senso ha riorganizzare la macchina pubblica se non si garantisce a coloro che ogni giorno la mandano avanti un lavoro di qualità e adeguatamente retribuito?» chiedono i sindacati. «A Roma la questione del salario accessorio è patologica: da nessuna parte la quota accessoria raggiunge il 30% dello stipendio – ha detto il candidato sindaco della Capitale Stefano Fassina (Sinistra per Roma) – L’assenza oramai ripetuta di una quota così rilevante delle retribuzioni e il conseguente taglio di servizi, già in sofferenza, si scarica anche sui cittadini e sulle imprese». Fassina promette la ripresa del dialogo sociale se eletto al Campidoglio. Il problema è stato affrontato anche da Giorgia Meloni, anch’essa candidata a sindaco: «Bisogna alzare e portare il salario di base ad un livello decente, da terzo millennio e da lì poter legare il salario accessorio al lavoro che fai» ha detto. Alfio Marchini promette di «introdurre uno stipendio minimo di 1500 euro». Proposta definita «insostenibile» dal Pd.

Il problema del salario dei dipendenti capitolini ha già portato l’Usb a scioperare il 13 maggio scorso. Il sindacato di base chiede di «cancellare le infamie contenute nell’atto unilaterale di Marino», «un vero piano assunzionale, la stabilizzazione del personale precario di scuole e nidi e il superamento dei vincoli normativi imposti dal governo per gli enti locali».