L’attesa della pioggia a Roma è tornata ad essere spasmodica, anche se gli abitanti della capitale temono che dai problemi della prolungata siccità estiva tra pochi giorni si possa passare direttamente all’emergenza alluvionale. Protagonista, nei due casi, è il tombino, luogo metaforico della precipitazione della realtà metropolitana ma anche oggetto concreto da cui dipendono previsioni negative e positive: se ostruito, dalle foglie cadute e non spazzate dalle macchinette dell’Ama, sempre più rare, o se liberato dalle perdite nelle tubazioni vecchie anche di mezzo secolo dell’Acea.

Sì, perché l’Acea Ato 2, gestore dell’acqua di Roma, ha comunicato ieri alla cittadinanza che in previsione del rientro massiccio dei romani dalle vacanze si troverà costretta a ridurre la pressione idrica notturna nelle condutture dei comuni di Roma e Fiumicino a causa della «straordinaria siccità perdurante».

Sono messi in conto i disagi per l’approvvigionamento dei piani alti delle case, dove i rubinetti potranno rimanere a secco, e «nelle zone idraulicamente più sfavorite – evidentemente le cime dei sette colli ndr – per le quali potrebbe non essere escluso lo svuotamento delle condotte con il conseguente intorbidamento dell’acqua al momento del rientro in servizio».

In soldoni, siamo da capo a dodici – come si dice – rispetto alla crisi idrica di luglio, con l’unica differenza che l’Acea questa volta non minaccia un razionamento a zone dell’acqua ma dispone semplicemente una interruzione possibile e generale dell’erogazione notturna. E la causa questa volta non è indicata unicamente e polemicamente nell’interruzione dei prelievi aggiuntivi dal lago di Bracciano da parte della Regione.

Le carte bollate tra Comune di Roma, Regione Lazio e Acea Ato 2, alla fine hanno stabilito, che dal bacino di Bracciano la capitale può attingere sì, ma non più di 400 litri al secondo. Così ora Acea chiama in causa altre responsabilità: l’abbassamento drastico dei flussi degli acquedotti delle Capore, che convogliano le acque del Farfa in Sabina, e dell’Acqua Marcia, che confluiscono con quelle dell’Aniene e l’impossibilità di aumentare la portata del Peschiera oltre i 9.100 litri al secondo perché il primo adduttore di Roma ha un acquedotto «vecchio di ottant’anni», ammette l’azienda.

L’Acea continua a rivendicare su Bracciano un prelievo idrico «a livello del settembre 2016», facendosi forza di una recente consulenza universitaria, ma vista la levata di scudi dei comuni del lago e del governatore Nicola Zingaretti, alla ripresa dopo le ferie si dice costretta ad adottare una «riduzione controllata della pressione della rete nelle sole ore notturne». E nel frattempo rivendica d aver svolto un «eccezionale lavoro a partire da maggio» per arginare la crisi idrica. L’azienda sostiene di aver monitorato circa 4,700 chilometri di tubature, «quasi il 90% del totale, con oltre 1.300 perdite già riparate».

«Peccato che si tratti di una evidente esagerazione – sostiene Paolo Carsetti, portavoce dei referendari del Forum per l’Acqua pubblica laziale – infatti nessuno ha visto Roma rivoltata come un calzino per lavori che avrebbero dovuto riguardare 62 chilometri di rete al giorno e sarebbero stati impossibili da completare in pochi mesi». E si arriva così al tombino, unico oggetto possibile degli interventi straordinari di riparazione estivi.

Il nuovo ad di Acea Stefano Antonio Donnarumma ha promesso, in una intervista di pochi giorni fa al Sole 24 ore, un forte potenziamento degli investimenti in particolare sulle infrastrutture della rete idrica «per mettere Roma in sicurezza». Lo strumento: il business plan che presenterà a novembre per gli anni 2018-2022. Ciò che preoccupa però il Forum dei Movimenti dell’Acqua è che tra gli obiettivi del nuovo piano industriale l’unico memzionato sia il progetto di raddoppio dell’acquedotto del Peschiera. «E quando anche quella fonte andrà in sofferenza dove prenderemo l’acqua, su Marte?», è la domanda di Carsetti.

Legambiente nell’ultimo rapporto aveva aperto un focus sulla carenza di depuratori nel Lazio. Oltre a riparare la rete colabrodo con oltre il 45% di perdite, il riciclo potrebbe essere utilizzato ad esempio per gli usi agricoli, che da soli determinano un consumo generale del 65% delle risorse idriche. Ma Donnarumma, evidentemente, continua a sperare nella pioggia.