La donna col tailleur è ferma sotto la sede delle Poste, un piede sulle strisce pedonali. Scatta il verde e rimane ferma. Un’automobile accosta, il conducente scambia con lei poche parole e riparte. La donna prende il cellulare dalla borsa e inizia a parlare. Lascia la zona degli uffici, cammina veloce davanti ai bar che si affacciano sul laghetto dell’Eur. Gira in viale Pasteur e sparisce nell’androne di un palazzo. «Bisogna riaprire le case chiuse: così le prostitute pagano le tasse e sono protette. Io non giudico nessuno. Ma se vogliamo fare qualcosa qui all’Eur, perché lasciarle in strada, in un ghetto all’aria aperta?». Anna abita da anni in quel palazzo. Secondo lei solo le cinesi ricevono in casa. E di sicuro non lì. Ma non ha mai visto prima la donna col tailleur. «Potrebbe essere chiunque».
La casa chiusa è un passo oltre quello che è disposto a tentare il Municipio IX di Roma. I residenti lamentano un forte degrado nel quartiere. Così da qualche settimana Andrea Santoro e Carla Vincenti, presidente e assessore alle politiche sociali dell’Eur, hanno proposto uno zoning per regolare la prostituzione: una via di mezzo fra l’attuale azione repressiva e la creazione di una vera e propria zona a luci rosse. Le prostitute verranno spostate su alcune strade ancora da individuare, comunque non in aree residenziali. Non è chiaro se in queste isole di tolleranza si possa anche consumare il rapporto sessuale. Di sicuro il Municipio offrirà uno sportello sanitario, servizi igienici, pattugliamenti delle forze dell’ordine. Secondo Santoro, lo zoning renderà più facile verificare se ci sono vittime di sfruttamento. I dettagli del piano saranno definiti in una serie di incontri fra comitati di cittadini, polizia, servizi sociali e associazioni del quartiere.
Il consenso dei cittadini non manca. È venerdì pomeriggio, un flusso ininterrotto di colletti bianchi intasa gli incroci. Restano gli abitanti dell’Eur. Molti si incontrano al «Gianfornaio» per l’aperitivo. Per tutti la prostituzione è il problema del quartiere. Significa degrado, sporcizia, spettacoli indecorosi. Paura, o fastidio. Poca sicurezza. Paolo Lampariello, presidente del comitato «Ripartiamo dall’Eur», accetterebbe qualsiasi soluzione. Da tre anni presenta esposti, ma senza risultati. «C’è già una zonizzazione di fatto, imporre delle regole è il minimo. Via le prostitute da sotto le case, qui c’è gente che prende pillole per dormire». Qui è difficile trovare qualcuno contrario allo zoning. Rita chiacchiera con la madre su una panchina. «Nemmeno al tempo degli antichi romani erano trattate così. Sono prese a botte, stuprate. Bisogna proteggerle». Roberto tiene per mano la figlia. Non vuole che veda prostitute quando esce da scuola. «È un problema di urbanistica», dice.
«Vuoi parlare con una prostituta? Vediamo se una che conosco è al solito posto». Matilde Spadaro è stata consigliere del Municipio fino all’anno scorso. Nell’estate del 2012 ha tappezzato l’Eur con un manifesto che la ritraeva nuda, un codice a barre tatuato sul petto. In alto le parole «Prima di comprarla, rifletti». Era una campagna sulla condizione di sfruttamento delle prostitute, per responsabilizzare i clienti. Mentre la seguo se la prende con i modelli sociali di oggi. «Nessuno le vuole vedere, ma il problema resta anche se lo sposti». Per capire cosa fare all’Eur ha preso un aereo per Amsterdam. «Il sindaco mi ha accompagnato nel distretto a luci rosse, ma non mi ha convinto fino in fondo. La domanda è scesa, però le famose vetrine sono in mano a pochissimi proprietari. Come fai a controllare che non ci sia sfruttamento?».
Lo stesso problema si presentava quando in Italia esistevano ancora le case chiuse, prima che la legge Merlin le abolisse nel 1958. «Ha liberato centinaia di donne ridotte in schiavitù. Ma oggi bisogna guardare in faccia la realtà. I clienti in Italia sono 9 milioni, un maschio su tre. La mentalità non cambia come per magia. Lo zoning può essere un primo passo». Arriviamo in un piccolo parcheggio su viale dei Primati Sportivi. Per terra, fra le auto in sosta, ci sono un paio di preservativi usati. Matilde Spadaro controlla il perimetro con lo sguardo. «Di solito sta seduta a questo angolo. La riconosceresti subito: si porta i ferri e fa dei bellissimi centrini». Torniamo indietro. «La vera soluzione? Cooperative di donne che si autogestiscono. Ma ogni ragazza deve essere consapevole di quello che sta facendo».
Il giorno dopo decido di tornare lì. Passo davanti ai locali, poi imbocco viale Tupini. Proprio in quel punto nel maggio del 2013 è morto Azam Gamal Abou Elia Zed Mohammed, egiziano di 49 anni. Secondo la ricostruzione della polizia e di numerosi testimoni, stava litigando con la prostituta con cui era appena stato. Nel giro di pochi minuti sono arrivati due protettori e l’hanno accoltellato. Nel parcheggio c’è una donna su uno sgabello troppo piccolo. Da un sacchetto di plastica spuntano ritagli di tessuti. Appena le rivolgo la parola si alza, spaventata. Mi sussurra: «Va’ via». Pochi metri più in là incontro Mirella. Accetta di parlare. «Io sono libera, posso fare quello che voglio. Capisci quando parlo?». Sì. «Perché se vuoi parliamo in inglese, spagnolo, tedesco. Ho una laurea in marketing, io. L’ho presa in Germania». Mirella è rumena, sulla trentina. È in Italia da 5 anni. Paga per occupare quel pezzo di marciapiede. E non avrebbe nulla in contrario allo zoning. «Meglio, così partiamo tutte alla pari. Viale Marconi (non distante da qui, ndr) è un carnaio, un polo attrattivo che fa concorrenza sleale». Le chiedo se qui si sente sicura. Esita, ci pensa davvero. «No, non mi sento sicura. Ma io sono libera. Io posso andare in America, se voglio». Le squilla il telefonino, mi fa cenno di andare. «Ciao Fabio…».
«Per loro siamo quelli che vengono il giovedì. E non ammettono mai, mai, di essere sfruttate». Sarah Baldassarre ha un sorriso amaro mentre le racconto di Mirella. Fa parte dell’unità di contatto della onlus «L’Alternativa»: volontari che una notte a settimana avvicinano le prostitute fra via Ostiense e via Cristoforo Colombo. Offrono ascolto, sostegno legale e psicologico. E la possibilità di uscire dal giro. Il presidente del Municipio Santoro ha voluto ascoltare anche il loro parere. «La strada va bene solo per un primo contatto. Lì non costruisci un rapporto», sostiene Sarah Baldassarre, «è un ambiente ostile con regole sue. Le prostitute usano meccanismi di difesa». Come farsi chiamare con nomi sempre diversi. O quello che le operatrici chiamano «fantomatico fidanzato»: sono convinte che il protettore le ami e non lo denunciano. «Sono vittime di una manipolazione profonda», dice.
Secondo Francesco Carchedi lo zoning può invogliare le prostitute a rivolgersi spontaneamente ai servizi sociali. Docente di Scienze e tecniche del servizio sociale all’università La Sapienza, nel suo studio «Lo zoning possibile» ha messo a confronto Stoccolma, Amsterdam e Mestre, unico caso in Italia dove è stato adottato questo sistema. «Non si crea un ghetto, ma un’area dove il conflitto fra gli interessi è ridotto a zero. Di certo è un processo delicato: bisogna costruire un equilibrio con tutti gli interessati. Se viene a mancare il consenso non funziona più». Per Sarah Baldassarre è con il lavoro sul campo che si vincono le diffidenze delle prostitute. Bisogna immaginare con loro un’alternativa. «L’appuntamento di giorno è una conquista, poi magari scatta il passaparola. Adesso quasi tutte si appoggiano al consultorio di zona, anche ragazze che non abbiamo mai incontrato per strada».
Il passo successivo è più complesso. La protezione per le vittime di tratta è regolata dall’articolo 13 della legge 228 del 2003 e dall’articolo 18 del Testo unico sull’immigrazione del ’98. Norme che garantiscono alla vittima permesso di soggiorno, cure, accesso allo studio e iscrizione nelle liste di collocamento. Ma ecco l’intoppo: per entrare in un programma di protezione e accedere a un centro anti-tratta non occorre denunciare lo sfruttatore. Invece l’ufficio immigrazione di Roma lo richiede.
«Dalla denuncia vanno tolti meretricio e guadagno». Chiara Scipioni è avvocato. Ha lavorato all’interno di un centro anti-tratta a Roma, nel centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, agli sportelli anti-violenza. È lei che accompagna le ex-prostitute in commissariato. Le formule standard servono solo a spalmare la responsabilità sulla ragazza. Infatti i protettori lasciano il 50% dei soldi alle prostitute, e al processo le fanno passare come «socie alla pari». Lo zoning la fa infuriare: radica gli stereotipi in profondità. «Per la stampa le baby squillo sono ammiccanti, mentre i ragazzini vengono adescati». Per lei non esiste una donna che offra consapevolmente il proprio corpo. Se lo fa è perché non ha alternativa. «Se uno vuole vendere un rene, pensi che va aiutato perché ha un problema. Perché se una vende la propria vagina non scatta lo stesso meccanismo?».
Di fianco a lei Valentina Sciagura annuisce. Hanno lavorato insieme dal 2008. Da psicologa si trova a ricostruire da zero una persona. Traumi, violenze subite già in famiglia, deficit mentali. Spesso i dodici mesi che le ragazze passano al centro non bastano. «Quando arrivano non sono più nulla. Vengono prese dagli orfanotrofi, violentate durante il viaggio. Tutte, senza eccezione, descrivono un’esperienza di dissociazione: durante il rapporto sessuale si staccano dal proprio corpo, vedono la scena dall’esterno. È un meccanismo di difesa automatico devastante perché diventa la loro normalità».
Alle undici di sera viale Tupini è un rombo continuo di auto. A pochi metri dalla strada la prostituta nasconde il volto, sguardo a terra. Quando torna sul bordo del marciapiede è ancora irrigidita. Sobbalza come se temesse ogni macchina che passa. La sfuriata del protettore l’ha terrorizzata. Nemmeno l’intervento delle altre due ragazze è servito. Lo hanno insultato finché non l’ha lasciata in pace. È la terza volta in mezz’ora che si ripete la stessa scena. Forse è nuova e la tengono sotto pressione, o forse stasera non ha fatto abbastanza soldi. Mi avvicino al locale dove si è rintanato il protettore. Nessuno fa caso alla sua presenza. Sta in piedi in un angolo e guarda la tv. Una canzone di Shakira, poi un’altra anni ‘80. Parte la pubblicità. Lui manda giù un altro sorso di birra e torna dalla ragazza.