Cappotto totale. Per la prima volta Roma è monocolore: Ignazio Marino, il nuovo sindaco capitolino eletto al ballottaggio con il 64% dei voti contro il 36% intascato da Gianni Alemanno, traina nell’urna quel centrosinistra che lo aveva snobbato non poco e che conquista così invece tutti i quindici municipi della città metropolitana.

Sono bastati cinque anni in Campidoglio perché il centrodestra perdesse tutto, anche quel serbatoio di voti che è sempre stato storicamente il nord di Roma, la zona dei quartieri “neri” per eccellenza, dalla Farnesina alla Balduina, da Tor di Quinto alla Cassia. Ed è proprio qui, nel XV Municipio (ex XX) che si registra, insieme al quadrante che include Tor Bella Monaca, la maggiore astensione: quasi il 60% dei romani in queste zone non è andato a votare. Mentre l’affluenza media nelle 2600 sezioni cittadine si attesta al 45,06%, quasi otto punti in meno rispetto al primo turno, quando ai seggi si è recato il 52,81% dei 2.559.000 romani iscritti alle liste elettorali.

Né il centro né le periferie, dunque, né i borghesi né i borgatari hanno premiato il sindaco con la celtica al collo che negli ultimi giorni, annusata l’aria, aveva già dismesso i panni di primo cittadino e indossato quelli dell’estremista “nero”, in vista della nuova battaglia politica che lo attende dentro il Pdl: «Accettiamo la sconfitta, facciamo autocritica ma non scompariremo», ha promesso ieri Alemanno (che appena mezz’ora dopo la chiusura delle urne aveva già riconosciuto la vittoria del suo sfidante) ringraziando chi lo ha sostenuto, «in particolar modo Francesco Storace e i Fratelli d’Italia».

La foto che lo ritrae quasi in lacrime, confortato dal suo capo segreteria, Antonio Lucarelli, fa in pochi minuti il giro dei social network e diventa il simbolo della sconfitta del centrodestra.

Piazza di Pietra, nel cuore di Roma, invece è in festa già dal primo pomeriggio. Ignazio Marino attende un paio d’ore dai primi exit poll prima di fare il suo ingresso nella sala gremita allestita presso il Tempio di Adriano, non a caso insieme al governatore del Lazio Nicola Zingaretti, uno dei suoi maggiori sostenitori che proprio in quello stesso luogo tre mesi fa aveva atteso i risultati delle elezioni regionali.

«Cominceremo dall’emergenza lavoro, che affronteremo insieme alla Regione», promette, emozionato, il chirurgo. E infatti in piazza, dove Marino poco dopo replica il suo discorso salutando i tanti accorsi a festeggiare la «liberazione» di Roma, c’è anche a sorpresa Susanna Camusso.

Il programma di lavoro è presto tracciato. Roma ha bisogno di tutto: «Decoro urbano, traffico, rifiuti, emergenza casa, non autosufficienza…», questioni «che attanagliano i bilanci delle famiglie». Ma soprattutto «tornare a valorizzare l’arte, la cultura, l’archeologia», ridare alla città eterna «il ruolo internazionale che merita».

Ma non si fa illusioni, l’”outsider” Dem, rispetto a un consenso popolare comunque dimezzato da una così bassa affluenza: «L’impegno più grande lo sento nei confronti di chi non si è recato alle urne perché disilluso dalla classe dirigente del Paese. Il nostro obiettivo sarà dimostrare a coloro che pensano che la politica si occupa solo di poltrone che invece la politica è servizio per la comunità».

Apre allora ai più votati al primo turno, il Movimento 5 Stelle e l’imprenditore Alfio Marchini (che ieri ha smentito le voci su una sua possibile nomina a vicesindaco: «Non ci penso proprio»), chiedendo loro un confronto per «cercare insieme le soluzioni necessarie per la città». «Me lo aspetto da tutti, anche dal sindaco uscente», aggiunge Marino che annuncia: «Stasera non andrò in Campidoglio perché il palazzo che rappresenta la Capitale ha una sua sacralità e i cambi di consegna devono avvenire nella maniera formale che la storia di Roma merita».

Un rispetto delle istituzioni che non passa inosservato: «Cinque anni fa Alemanno festeggiò su piazza del Campidoglio che è la piazza di tutti i romani – fa notare il segretario del Pd Lazio Enrico Gasbarra – dimostrando che avrebbe usato le istituzioni per la sua parte politica».

Con la stessa gentilezza, Marino riserva un tributo anche al «partito», anzi «ai partiti» – si corregge l’esponente Dem senza mai nominare il Pd – che «non sono stati lontani» e di cui l’ex senatore apprezza «la straordinaria generosità delle persone che li costituiscono»; militanti «che hanno lavorato anche 36 ore di seguito per far rinascere Roma». E i romani hanno risposto, scegliendo «la discontinuità col passato» ma senza dimenticare «chi è rimasto un passo indietro»: «Il valore che ha vinto è la solidarietà», precisa il sindaco guadagnandosi un lungo applauso e spiegando così il senso del suo «lavorare sull’idealità e non sull’ideologia».

Ma ora i democratici non lesinano congratulazioni, da Veltroni fino a Rutelli, che dimenticando il suo ultimo flop si spinge fino a dare qualche «consiglio» al nuovo sindaco, come «mettere subito a lavoro cento persone, il meglio della società e andarle a prendere anche da quei contenitori che non l’hanno votato, attingendo alla politica cittadina e alla società civile».

Per fortuna Marino «con grande umiltà» al momento pensa solo che dovrà «lavorare 7 giorni su 7». Per far tornare Roma la «guida morale del nostro Paese».