Quattro molotov pronte per essere usate. La polizia le ha trovate vicino alla fermata metro Battistini non molto distanti dal luogo in cui mercoledì sera un’auto guidata da tre minorenni di origine rom ha travolto e ucciso una donna filippina di 44 anni e ferito altre otto persone. Il ritrovamento è avvenuto giovedì sera al termine della manifestazione anti-rom inscenata dal alcune organizzazioni della destra capitolina con la partecipazione degli abitanti del quartiere, e dimostrano quanto siano giustificate le preoccupazioni di coloro che temono che il clima di intolleranza e violenza nei confronti dei rom alimentato in questi giorni possa trasformarsi in tragedia.

A segnalare alle forze dell’ordine la presenza delle quattro bottiglie incendiarie sono stati alcuni cittadini dopo aver notato un gruppetto di ragazzi aggirarsi tra le auto con in mano le bottiglie piene di benzina. Sulla vicenda è stata aperta un’indagine.
Prosegue intanto la ricerca dei due minorenni che si trovavano sull’auto che mercoledì sera si è abbattuta sui passanti seminando morte. «Mio fratello si consegnerà oggi pomeriggio», aveva annunciato in mattinata la sorella di una dei due che già giovedì aveva rivolto un appello al giovane perché si costituisse. Fino a a ieri sera, però, nessuno si era fatto vivo e le ricerche proseguono in tutta Italia. Sempre ieri c’è invece stata la convalida dell’arresto della diciassettenne fermata mercoledì al termine dell’inseguimento della polizia e che deve rispondere di concorso in omicidio volontario. Il gip del tribunale per i minorenni ha contestualmente emesso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere e la giovane è stata trasferita nell’istituto di Casal del Marmo. Intanto gli investigatori escludono che la terza persona che si trovava sull’auto fosse il padre del ragazzo – come affermato invece dai familiari – , che proprio giovedì sera si era autoaccusato dell’incidente. «C’ero io alla guida dell’auto sono stato io. Mi dispiace ma ero ubriaco», aveva detto l’uomo che adesso rischia di essere accusato di favoreggiamento.

Al campo sul cavalcavia della via Aurelia intanto nessuno ieri aveva voglia di parlare. Le camionette della polizia hanno sorvegliato la struttura per l’intera notte, per paura di eventuali ritorsioni nei confronti della comunità nomade. «Abbiamo paura che qualcuno possa passare qui sulla strada e lanciarci qualche molotov dentro – hanno detto i residenti del campo -, per fortuna ora c’è la polizia, speriamo non accada nulla quando andranno via».

I familiari di Cory Abordo, la donna uccisa nell’incidente, sono stati ricevuti in Campidoglio dal vicesindaco di Roma Luigi Nieri mentre fuori si è tenuta un veglia della comunità filippina della capitale. Un raduno per chiedere «giustizia per Cory», come era scritto su alcuni cartelli esposti insieme alle bandiere delle Filippine. «Tutto ciò che è successo ha spezzato i cuori della città, la comunità filippina è in lutto», hanno spiegato gli organizzatori. «Noi dobbiamo superare definitivamente i campi nomadi», ha detto Nieri. «Chi ha diritto a una casa avrà una casa, chi no andrà a trovarsi un alloggio per conto suo. Il processo di integrazione dovrà essere un asse portante».

A soffiare ancora sul fuoco dell’intolleranza ci ha invece pensato anche ieri Matteo Salvini: «Visto che abbiamo i delinquenti italiani non apriamo le porte anche agli altri delinquenti del mondo – ha detto il leader della Lega-. Non ne posso più di campi rom, non esistono più in nessun Paese europeo. Se andiamo al governo noi in sei mesi gli azzeriamo tutti». Parole che hanno irritato non solo il mondo politico ma anche quello dell’associazionismo, con la responsabile della «Fondazione Rom-Sinti Insieme», Dijana Pavlovic che paragona il segretario della Lega a Hitler. «L’incitazione all’odio e la propaganda che fa – dice – è molto simile a quella successa in Germania negli anni Trenta».