E sei. Dopo l’Angelo Mai, il Volturno, il Valle, l’America, il Rialto Sant’Ambrogio, a Roma, ieri mattina, è stato spento anche Scup. Acronimo che sta per Sport e cultura popolari. Sgomberato e abbattuto.

Ai primi chiarori del giorno, scortata da uno squadrone di polizia, una ruspa ha schiantato i cancelli d’ingresso e ha cominciato a demolire il fabbricato che da tre anni ospitava le seguenti attività: una palestra, una biblioteca, una radio, uno sportello d’ascolto sociale, una ludoteca, un’aula per corsi di lingue, nonché per il doposcuola a bambini e ragazzi, una mensa, una sala per la danza, uno spazio per il mercato biologico e tutto ciò che di volta in volta veniva richiesto dal quartiere, per organizzare una festa o un incontro o uno spettacolo, ecc.

Fossimo nel secolo scorso, potremmo definire Scup come una Casa del popolo. Che le persone, le più varie, d’ogni età, d’ogni colore, vivevano come un luogo proprio, dove potersi incontrare, dove potersi rivolgere per un problema, per consultare un medico, uno psicologo o anche un avvocato, un fiscalista, dove semplicemente scambiare quattro chiacchiere o dove andare a ballare, a fare ginnastica, seguire un corso di judo, chiedere un libro, uno di quei libri, Cervantes, Tolstoj, Pavese, lo stesso Bradbury di Fahrenheit 451, che ieri mattina erano stati ammonticchiati in mezzo alla strada, miracolosamente scampati alle mascelle della ruspa.

Era stato occupato tre anni fa. Uno stabile di tremilacinquecento metriquadri, su due piani e un interrato, con un giardinetto intorno, insediato nel quartiere di San Giovanni, in Via Nola, sul bordo delle Mura Aureliane, alle spalle della Basilica di Santa Croce in Gerusalemme. Abbandonato da circa un decennio, aveva ospitato la Motorizzazione civile, uffici, archivi, depositi, magazzini. Un bene pubblico, insomma, uno degli innumerevoli pezzi pregiati del patrimonio immobiliare di questo paese, che continua a essere privatizzato, espropriato ai suoi legittimi proprietari, cioè tutti noi. Messo all’asta e acquistato a un terzo del suo valore da una non meglio precisata società, F&F, intestata a un signore di ottant’anni e una signora di qualche anno più giovane. Che malgrado la ragguardevole età intendono impetuosamente trasformarlo nel solito, ovvio, desolante centro commerciale.

In tanti sono accorsi in Via Nola per protestare. Lungo la mattinata e nel pomeriggio, tra gli stridori di cingoli e benne. E’ stata improvvisata un’assemblea, che ha richiesto (e ottenuto) l’interruzione della demolizione, che peraltro nessuno aveva autorizzato. Dal Comune fanno sapere di non sapere, addossando ogni responsabilità al magistrato che ha ordinato lo sgombero e alla Questura che l’ha eseguito. E confermano tuttavia che quello stabile è destinato a servizi pubblici e non ad attività commerciali.

Resta il fatto che un’altra luce è stata spenta, chiuso un altro servizio sociale, strozzato un altro centro culturale, espugnata un’altra casamatta popolare. L’ordine regna a Roma, verrebbe da dire.