Ieri notte a Roma è andato a fuoco l’impianto Ama di Trattamento Meccanico Biologico dei rifiuti in via Salaria. Di cosa si sia sprigionato dalle fiamme e da cosa, o da chi, abbia avuto origine il rogo sapremo solo nei prossimi giorni. Forse. Per il momento sappiamo solo che le telecamere di sicurezza erano fuori servizio e sappiamo anche di un assurdo Paese dove – anche nella Capitale – gli impianti per trattare i rifiuti bruciano e i cittadini soffrono.

La storia di questo impianto è paradigmatica se ci si vuole orientare nella questione dei rifiuti a Roma, perché mostra come la politica sia stata debole e lo sia ancora, incapace di mediare tra le esigenze industriali, quelle ambientali e quelle sociali. Il Tmb Salario è un impianto che nasce male e funziona peggio. L’impianto non è in grado di smaltire rapidamente l’enorme quantità di rifiuti che viene conferita giornalmente, con la conseguenza che i rifiuti indifferenziati si accumulano all’interno del deposito trasformandolo a tutti gli effetti in una discarica. Ma come è stato possibile creare un simile ecomostro? È bene ricordare che a Roma produciamo ogni anno 1 milione e 700 mila tonnellate di rifiuti urbani, quasi 5 mila tonnellate al giorno.

A fronte di questa produzione la nostra capacità impiantistica è vicino allo zero. Nell’attuale, drammatica carenza di impianti di trattamento, recupero, riciclo, buona parte di questa montagna di spazzatura – anche se raccolta in modo differenziato – viene spedita in giro per l’Italia e persino all’estero: dal Piemonte alla Lombardia, dal Veneto alla Puglia, dall’Emilia a Vienna. Significa che ogni tonnellata di questi rifiuti giramondo non soltanto inquina l’ambiente finendo spesso in discariche e in inceneritori, ma genera un surplus di inquinamento perché viaggia, sui Tir e sui treni, per centinaia di chilometri. Altro che rifiuti zero ed economia circolare: qua si fa circolare la monnezza e sono tante le inchieste della magistratura che hanno dimostrato che, in Italia, proprio nel trasporto dei rifiuti la criminalità organizzata si infiltra e prospera.

Ma allora come potrebbe Roma uscire dall’emergenza? Intanto ammettendo che il tmb salario è «la pezza» che è stata messa per non aver fatto seguire, alla chiusura della discarica di Malagrotta, un serio piano dei rifiuti. Perché si sa che a Roma a toccare il sistema rifiuti si rischia grosso: troppo facile procedere di emergenza in emergenza senza mettere mano all’Ama, una delle aziende che peggio funziona nel nostro Paese. Ma non ci sono scorciatoie, per uscire dall’emergenza rifiuti nella Capitale occorre procedere con l’estensione del ‘porta a porta’ in tutta la città: considerando che negli ultimi due anni a Roma non è stato aumentato il porta a porta neanche di un’utenza. La frazione organica pesa per circa il 30% del totale dei rifiuti urbani e a Roma, al superamento del 65% di differenziata come previsto per legge, sarebbe di circa 500.000 tonnellate annue; per smaltirle sarebbero necessari 10/15 digestori anaerobici per il trattamento dell’organico e la produzione di biometano, impianti piccoli, a zero emissioni e miasmi.

La costruzione di centri del riuso che anticipino le isole ecologiche, intercettando i rifiuti prima che divengano tali e dando la possibilità di una nuova vita agli oggetti ancora potenzialmente utili, alimentando peraltro in maniera legale, il mercato dell’usato. L’applicazione della tariffa puntuale che premi in bolletta i cittadini che producono meno rifiuti. E poi, noi romani, abbiamo bisogno di responsabilità istituzionale: oggi il Ministro dell’Ambiente, la Sindaca e l’assessore regionale si sono presentati in conferenza stampa annunciando una cabina di regia per trovare insieme una soluzione. Ci aspettiamo soprattutto che smettano di rimpallarsi le responsabilità e tutti insieme aiutino Roma ad essere davvero una capitale europea.