Alle 10 di mattina dell’ultimo fine settimana di Fase 1 in viale Palmiro Togliatti, periferia est della capitale, le macchine scorrono a un ritmo agostano. C’è il sole ma non fa così caldo e dopo un posto di blocco dei vigili ce n’è un altro dei carabinieri: mitra in mano, mascherina in faccia. Davanti al numero 979, invece, il via vai è frenetico e le automobili sono parcheggiate in doppia fila. Attendono all’esterno, entrano vuote, percorro in retromarcia il vialetto di ghiaia ed escono dopo qualche minuto cariche di pacchi. Una catena umana di ragazze e ragazzi tra i 20 e i 30 anni li tira fuori da un magazzino sotterraneo e li carica nei bagagliai.

SEGUENDO CONTROSENSO il serpentone, dopo la «sanificazione» con un disinfettante spruzzato da una specie di estintore rosso, si entra in un locale ampio. Qui ciò che è stato raccolto durante la settimana in oltre 60 tra supermercati e negozietti è assemblato nei pacchi alimentari da distribuire in città. Siamo nella base operativa di «Nonna Roma», tra i quartieri di Centocelle e Quarticciolo. Il nome dell’associazione rimanda al capolavoro cinematografico Mamma Roma, scritto e diretto da Pier Paolo Pasolini e interpretato da Anna Magnani. Da queste parti, però, viene in mente anche Il gobbo di Carlo Lizzani. Il film narra le gesta di Giuseppe Albano, partigiano affetto da cifosi e noto come il gobbo del Quarticciolo che tra il ’43 e il ’45 uccideva nazisti e rubava farina per la gente affamata.

Foto di Claudio Riccio

«OGNI FINE SETTIMANA distribuiamo circa 800 pacchi, che raggiungono oltre 3 mila persone», racconta Aberto Campailla, 30 anni, nato nel sud della Sicilia e sindacalista Cgil impegnato con i precari della scuola. Ha fondato «Nonna Roma» nel 2017. Nel mezzo della pandemia l’associazione è diventata un hub della solidarietà cittadina. Intorno ruotano centri sociali, comitati, assemblee di quartiere. Oltre a questo, ci sono altri tre magazzini indipendenti da cui partono le consegne: uno spazio Ater tra la Piramide Cestia e il Tevere, in primo municipio; il centro sociale Astra, in terzo; il circolo Arci di Pietralata, in quarto. «La maggior parte dei generi alimentari sono raccolti dalle realtà territoriali con il meccanismo della spesa sospesa, qualcosa la acquistiamo grazie a un crowdfunding online, qualcos’altro arriva dal Comune attraverso il municipio e il Forum del terzo settore», continua. Le persone bisognose, invece, sono segnalate dalle istituzioni, chiamano direttamente o entrano in contatto con esperienze di quartiere «come la palestra popolare del Quarticciolo o la Libera Repubblica di San Lorenzo, Asinitas o l’Arci».

AI POVERI ASSOLUTI di lungo corso si è aggiunto chi ha perso il lavoro durante l’epidemia. Un’altra fetta «gigantesca» sono i precari del sommerso, che chiedono aiuto per la prima volta perché all’improvviso sono rimasti senza soldi e senza possibilità di uscire a rimediarli. «Ci sono poi gli autonomi, le partite Iva – continua Campailla – Ma nel loro caso agisce lo stigma e nonostante siano in difficoltà è molto difficile che si facciano sentire». Alla distribuzione partecipano oltre 250 persone: volontari storici di «Nonna Roma» e nuove leve, attivisti di realtà auto-organizzate e di associazioni e sindacati. Le macchine si dirigono per la maggior parte verso il quadrante Est, quello a reddito più basso. «Ma portiamo i pacchi anche in centro: in primo municipio ci sono molte colf e badanti che da due mesi non ricevono stipendio», aggiunge Campailla.

Foto di Giansandro Merli

CARICATI SETTE PACCHI si riceve un foglio con nomi, cognomi, numeri di telefono e indirizzi di sette case. Primo giro: la Seicento grigia si muove verso Torpignattara. Alla guida Luca Magno, cooperante 35enne rientrato a Roma dopo 5 anni in Iraq con la Ong Un Ponte Per e attivista del centro sociale Esc di San Lorenzo. Cinque famiglie abitano nella stessa strada, due nello stesso palazzo. Per prima apre una signora con chador rosso e mascherina bianca. Poi un uomo e una donna che si preoccupano di avere conferma che il pacco sia destinato proprio a loro. «Mi fa comodo ma non vorrei toglierlo a qualcun altro – dice lei in romanesco – Per caso avete qualcosa anche per la mia vicina? È sorda e la aiuto io». Nell’elenco il suo nome non c’è. Al citofono successivo risponde un’anziana appena operata: vive nel seminterrato e non riesce a salire le scale. «Dovremmo lasciarlo fuori, ma…», dice Magno avvicinando la grande busta all’uscio.

SECONDO GIRO: direzione Monteverde, quartiere residenziale del XII municipio, Roma ovest. Il panorama urbano è molto diverso: gli appartamenti hanno balconi pieni di piante e a volte giardini, si scorgono tante villette e qualche casa popolare. I prezzi delle abitazioni oscillano tra i 2.800 e i 5 mila euro a metro quadro (la media a Roma è 3.200 euro). Anche qui, comunque, ci sono persone che hanno difficoltà a fare la spesa. Tutti e sette gli indirizzi segnati sul foglio corrispondono a famiglie filippine. Camerieri, baristi, ma soprattutto colf e badanti. «Mio marito è in cassa integrazione ma ancora non ha visto un euro – dice una signora sul cancello di una villetta con giardino, a cui arriva salendo da uno scivolo -. Io facevo le pulizie ma non mi chiamano più. Abbiamo chiesto i bonus spesa ma non è arrivato niente. Forse perché viviamo in questo quartiere e pensano che siamo ricchi». Con gli occhi lucidi racconta che in casa sono quattro e il frigo è vuoto, che non sa più come fare.

SARÀ SUFFICIENTE questa solidarietà che da nord a sud ha invaso la penisola? «La crisi è lunga e credo che associazioni e movimenti debbano costruire infrastrutture stabili – afferma Campailla – Ma la solidarietà non basta senza un orizzonte di trasformazione politica». Su che temi? «Casa e reddito, per cominciare. L’Unione inquilini parla di 200 mila famiglie a rischio sfratto: non ci penseranno due volte se pagare l’affitto o acquistare il cibo. E poi serve un reddito davvero universale, pensato come misura strutturale. Trasformare il welfare oltre l’emergenza è la sfida decisiva»