«Chi colpisce una donna, colpisce tutte noi»: è il logo con cui è stato organizzato il tam tam su internet per il presidio di donne che stamattina si ritroveranno a partire dalle 10 nel parcheggio di via della Magliana dove solo quattro giorni fa è stata uccisa Sara Di Pietrantonio, studentessa universitaria di 22 anni, tramortita, strangolata e arsa – così dice il primo referto autoptico – nell’auto della madre dall’ex fidanzato, reo confesso, Vincenzo Paduano, senza che nessuno dei passanti intervenisse per soccorrerla.

L’uomo la seguiva da giorni grazie a una app sul telefonino e lei si sentiva minacciata, ma anche volendo chiedere aiuto una ragazza nella stessa situazione di rischio dal prossimo luglio nella capitale non avrebbe più a chi rivolgersi. Tra le donne che stamattina saranno al presidio in memoria di Sara ci saranno anche quelle della cooperativa BeFree con un volantino di denuncia: l’unico centro antiviolenza che esiste a Roma, gestito da loro, rischia seriamente di chiudere i battenti. Non solo, anche il servizio di telefono aperto Sos Donna, gestito invece da Telefono Rosa, rischia di essere disattivato. Buio e silenzio dove dovrebbe esserci una voce, un consiglio, un supporto psicologico e un riparo protetto, all’occorrenza.

Il centro antiviolenza e casa protetta – intitolata a Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, le due vittime del Circeo – in attività dal 1997 ha aiutato e dato accoglienza in tutti questi anni a quasi 10 mila donna – circa 500 l’anno – spesso con bambini, per lo più minacciate da mariti, fidanzati e ex. La cooperativa BeFree è subentrata nella gestione del centro soltanto da un anno ma ora rischia, alla scadenza del bando il prossimo 30 luglio, di non avere nessuna possibilità di continuare il servizio a causa di una situazione kafkiana ereditata dal passato che il commissariamento del Campidoglio intende risolvere con un taglio netto.

In pratica la cooperativa ha scoperto che l’edificio che ospita il centro antiviolenza – un palazzo di sette piani chiamato «ex Bruno Buozzi» – insieme ad altri servizi tra cui case-famiglia e centri anziani, non è di proprietà del Comune ma della Regione Lazio. E l’ufficio Patrimonio regionale reclama ora il pagamento di affitti inevasi della durata di vent’anni, poco meno di un milione e mezzo di euro.

La giunta regionale di Nicola Zingaretti ieri ha chiarito di non aver mai richiesto la riconsegna dei locali e si è detta disponibile fin da subito all’apertura di un tavolo con tutti i soggetti interessati «per scongiurare l’interruzione del servizio».

Ma in assenza di assessori e sindaco che possano intervenire assumendosi la responsabilità politica e amministrativa di un accordo con gli uffici della Regione, la dirigente capitolina Maria Antonietta Del Grosso non se la sente di mettere la sua firma per mantenere il centro aperto, teme di esporsi in prima persona per un danno erariale che si troverebbe a dover pagare di tasca propria. Inoltre, senza un esplicito mandato del commissario Francesco Paolo Tronca – del tutto silente – non avrebbe titolo per negoziare un patteggiamento per una cifra inferiore. È il paradosso di Tronca, che tiene le redini della città da dopo il defenestramento del sindaco Ignazio Marino, quasi che tagliare, chiudere, sgombrare sia il suo unico compito. Con buona pace, in questo caso, della lettera che BeFree gli ha inviato, della petizione online sulla piattaforma charge.org e ora della richiesta delle candidate del Pd.

L’unica soluzione – dice la presidente della cooperativa Oria Gargano – «sarebbe che dopo le elezioni di domenica e il ballottaggio, appena insediata la nuova giunta capitolina come primo atto si occupasse di questa questione, in modo da tutelare le donne e garantire la continuità del servizio», rinnovando o prorogando il bando. «Speriamo – conclude Oria – che qualcuno dei candidati sindaco raccolga il nostro appello».

Quanto agli altri servizi, tra cui Sos Donna – il tele-aiuto h24 per le vittime di maltrattamenti e stalking -, Casa Internazionale dei diritti umani delle Donne e la Casa di Semiautonomia «Giardino dei Ciliegi» gestito dal Ceis, per la proroga del bando in base alle nuove disposizioni di Cantone serve una dichiarazione anticorruzione, ma non si può fare perché il governo non ha stabilito il come con un decreto applicativo del nuovo codice degli appalti.
Kafka qui è in salsa renziana.