Nello schema della nuova alleanza tra Pd e M5S, Roma avrebbe dovuto rappresentare un’eccezione, la pecora nera: ognuno col suo candidato, cercando di non farsi troppo male. E invece le comunali d’autunno nella Capitale si stanno trasformando in un’altra cosa: la prova del budino per sperimentare sul campo un’intesa acrobatica tra i due partiti.

Questo perché Enrico Letta ha deciso di mettere tutto il suo peso politico sulla scelta di candidare il più forte dei papabili, Nicola Zingaretti. Convinto che una vittoria a Roma sarebbe un ottimo apripista per le politiche del 2023.

IN QUESTE ORE LETTA e Francesco Boccia stanno facendo di tutto, a contatto di Giuseppe Conte e Luigi Di Maio (a loro volte alle prese con la guerra con Casaleggio), per spinare la strada a Zingaretti. Per rendere possibile e indolore una piroetta dalla sede della Regione Lazio al Campidoglio, senza sfasciare l’asse con i grillini in regione.

E del resto il governatore ha posto questa condizione: «Non mi muovo se il prezzo è far cadere la giunta, se gli assessori del Movimento dovessero minacciare le dimissioni». Altra condizione è dimettersi il più tardi possibile, a settembre, per completare la campagna dei vaccini e non votare nello stesso giorno delle comunali, onde evitare un frontale con il M5S.

SI TRATTA DI UNA OPERAZIONE rischiosa, a cuore aperto. Ma Letta e Boccia non demordono. Il secondo si è spinto ieri a paragonare il primo turno delle comunali alle primarie. « Roma è il cuore del nostro paese e ha bisogno che i progressisti e chi ha una certa visione del mondo si uniscano. Sono sicuro che andremo al ballottaggio con il nostro candidato, poi ai compagni e alle compagne del M5S chiederemo di darci una mano e di continuare a governare insieme la Regione Lazio».

Da segnalare, oltre al termine «compagni» usato per i grillini in un afflato di amorosi sensi, l’ipotesi che, una volta vinte le elezioni a Roma, possa toccare a un esponente del M5S (il nome più quotato è Roberta Lombardi, attuale assessore con Zingaretti) la candidatura alla guida del Lazio. Questa sarebbe una delle condizioni poste dai vertici del Movimento, insieme al via libera a Roberto Fico come candidato unitario a Napoli. Condizioni che Conte e Di Maio ritengono indispensabili per evitare l’implosione del Movimento.

GIÀ NON MANCANO LE VOCI, tra i parlamentari e gli esponenti romani più vicini a Casaleggio e Di Battista (ma anche personalità di peso come Marco Travaglio), di chi spinge per evitare una candidatura di Zingaretti in Comune, che sarebbe quasi certamente letale per Raggi. Il motto dei grillini contrari è dunque: «Zingaretti resti in regione».

«Su Roma per me esiste un solo candidato possibile, e si chiama Virginia Raggi. Lo vogliono gli attivisti e lo vogliamo noi», tuona l’europarlamentare Dino Giarrusso. «È la sindaca che sta risanando Roma piagata da ruberie». Voci non isolate, che frenano il governatore, timoroso che il Movimento non riesca a reggere l’operazione. E che lo scontro in Comune travolga anche l’alleanza in regione.

Raggi, a sua volta, ascolta le sirene di Rousseau, e sta preparando una b attaglia con due liste civiche, in modo da essere pronta anche ad un possibile strappo col M5S. Per Di Maio è dinamite pura: «Zingaretti contro Raggi a Roma? Dovete chiedere al Pd», ha risposto su La7. «Noi sosterremo la nostra sindaca uscente».

SULLA POSSIBILE CAMPAGNA elettorale di Zingaretti da governatore in carica arrivano critiche da Forza Italia e dal gruppo di Calenda. Gasparri parla di «norme ad personam» per scegliere la data del voto in regione «a piacimento del Pd». Dal Nazareno replicano coi guantoni: «La destra è abituata alle norme ad personam, il Pd non ha alcuna intenzione di modificare nessuna norma vigente, ma di applicarle».

Spiega Boccia: «La legge non chiede a un sindaco quando si candida a presidente di Regione di dimettersi, e vicevers. Ci si dimette solo se e quando si ha un altro incarico». E del resto Giorgio Gori nel 2018 corse per la guida della Lombardia da sindaco di Bergamo in carica.

Il rebus di Roma ora è tutto nazionale, e si intreccia con la crisi del M5S. Dal Nazareno assicurano che la partita si sbloccherà rapidamente. Ma i rischi di un flop sono altissimi.