Privato e pubblico si confondono spesso nella biografia artistica di Antonello Venditti. Anche nella sua reincarnazione discografica, in uscita martedì 21. Perché Tortuga – che intitola l’album – non è solo un’isola, ma è (soprattutto) il nome del bar di fronte al liceo romano Giulio Cesare, già al centodi un suo antico hit: «Era un incrocio di esistenze – spiega – ai miei tempi c’erano quelli come me che si vedevano per poi andare al Piper, al Titan o al Folkstudio e c’era anche gente come Fioravanti, Mambro, Ghira. Rappresenta anche un modo di intendere il bar come teatro di una socialità che sta sparendo».

Il disco è una raccolta di nove canzoni dalle sonorità accattivanti, molto suonate anche se spesso le ritmiche elettroniche sembrano appesantire l’insieme. Antonello canta su tonalità più profonde, pur non rinunciando a qualche enfatica accentuazione. Non sarebbe lui…

Brani dalle mille intuizioni melodiche risolte nei momenti meno ispirati dal mestiere, e testi che alternano afflato amoroso a riflessioni sulla città eterna, carta da tornasole per raccontare i disastri del belpaese: «I ragazzi del Tortuga suona come una Bomba non bomba dedicata a Roma, una città ormai spenta travolta da vicende come Mafia capitale e soffocata da gente che ci sta rovinando moralmente. L’unico luogo illuminato è San Pietro…». Prodotto da Alessandro Canini che ha lavorato a quattro mani con il cantautore romano Tortuga: «È un lavoro registrato in modo digitale ma realizzato in modo analogico perché è li che affondano le nostre radici».