Meglio del previsto. Contrariamente alle attese il downgrade di S&P non è arrivato, anche se il rischio è sottolineato dall’outlook che da stabile passa a negativo e dal deficit stimato al 2,7%. Per il governo gialloverde è una boccata d’ossigeno che arriva al termine di una giornata difficilissima. Le esortazioni di Mario Draghi sono cadute nel vuoto assoluto. Il conflitto tra Italia e Ue, lungi dal segnare una distensione, si è avvicinato ulteriormente a degenerare in guerra aperta.

LA PAROLA «DIALOGO» circola ancora. Il presidente della commissione Ue Juncker promette di discutere con il premier Conte «nelle prossime settimane». Il commissario Moscovici giura di «non accontentarsi degli slogan di Salvini e Di Maio» e di dialogare, appunto, «in modo costruttivo con Tria». Salamelecchi buoni più per la propaganda che per la diplomazia. La realtà è che nessuno, né a Roma né a Bruxelles, intende fermare i treni lanciati l’uno contro l’altro.

In Italia Di Maio se la prende con Draghi, anche se il presidente della Bce è stato nelle ultime settimane il più ragionevole tra i pezzi da novanta europei: «E’ un momento in cui bisogna tifare per l’Italia e mi meraviglio che un italiano avveleni il clima in questo modo. C’è più rispetto da parte dei i ministri tedeschi». Salvini non commenta ma dagli spalti leghisti ci pensa Bagnai: «E’ assurdo che il presidente della Bce dica che c’è un rischio sulle banche: lui quel rischio deve gestirlo».

LE POLEMICHE SU DRAGHI sono significative sino a un certo punto. Lo è molto di più la rapidità con cui entrambe le parti stanno approntando gli arsenali bellici. Ieri una riunione sulla crisi italo-europea a palazzo Chigi, presenti tra gli altri Conte e i viceministri Garavaglia e Castelli, ha confermato che la legge di bilancio verrà ripresentata «senza correttivi». Salvini non la manda a dire: «Checché ne dica Draghi non arretriamo di un millimetro».

Ma soprattutto, anche se ancora tra le righe, il leghista accenna alla possibilità di non pagare la multa che immancabilmente arriverà al termine della procedura d’infrazione: «La paghiamo già una multa di centinaia di milioni. Se vi piace l’Europa delle multe…». Nella legge di bilancio, infine, saranno previsti i Cir, l’opportunità cioè per gli italiani di comprare titoli di Stato detassati: fa un po’ «oro alla patria» ma è in una formula già sperimentata con successo da Renzi e Padoan.

Il vero cruccio per il governo italiano, salvo conseguenze devastanti del verdetto di S&P quando lunedì riapriranno le borse, resta la sofferenza delle banche. Il forzista Renato Brunetta, che conosce bene la faccenda, rigira il coltello nella ferita aperta. Profetizza che il governo gialloverde si troverà a dover salvare le banche, a partire da Carige e Mps, proprio come toccò fare a Renzi ma con meno mezzi a disposizione. Salvo precipitosa discesa dello spread, il governo dovrà in effetti sciogliere quel nodo e al momento non sembra sapere come farlo. Salvini giura che «c’è un governo pronto a difendere le imprese, le banche e l’economia costi quel che costi: nessuna banca salterà». Il sottosegretario 5S Buffagni, che come Giorgetti nella Lega rappresenta l’ala «responsabile» del governo, concorda: «Non metteremo a repentaglio i risparmi e difenderemo il sistema bancario». Di Maio però precisa: «Sostenere le banche non significa prendere soldi dagli italiani». Cosa significhi però è una domanda ancora in attesa di una risposta che potrebbe dover arrivare presto, essendo fissato per il 2 novembre lo stress test sugli istituti bancari e dovendo arrivare tra la fine di questo mese e l’inizio del prossimo le trimestrali.

I TONI BELLICOSI non tengono però banco solo in Italia. In Europa è anche peggio. Dijsselbloem, il falco olandese che già alcuni giorni fa aveva sottolineato che «l’Europa non salverà l’Italia», si è abbandonato ieri a nuove profezie oscure: «Se la crisi italiana diventerà grave imploderà nell’economia italiana. L’Italia andrà in bancarotta». Ma a segnalare la temperatura incandescente sono anche qui le manovre di guerra più che le parole. Tutto l’Eurogruppo fa muro intorno alla commissione e già lunedì i ministri finanziari dei 18 Paesi dell’euro potrebbero prendere una posizione ufficiale molto dura. Si fa strada a Bruxelles la tentazione di anticipare i tempi della procedura d’infrazione, facendola partire già in novembre.

NESSUNO IN REALTÀ vuole abbassare la tensione. I vari governi europei devono fare dell’Italia il capro espiatorio da offrire ai loro elettorati sovranisti. Roma ha bisogno di portare il conflitto alle estreme conseguenze per mantenere il consenso anche a fronte di una crisi. E i treni continuano a correre l’uno contro l’altro sempre più rapidamente.