Settembre 2013: appena insediata, la prima mossa politica della giunta Marino consisteva nel dichiarare finita l’epoca dell’assistenza alloggiativa a fondo perduto. La chiusura dei centri di assistenza (i cosiddetti residence) sembrava imminente. Trenta mesi dopo, crollata sotto i colpi di Mafia capitale la giunta e sostituita dal “prefetto-commissario” Tronca, la situazione rimane bloccata all’intento di tre anni prima. Con la deliberazione n.4 del 29 gennaio scorso, il Commissario ha sancito il percorso di chiusura per sette centri, che si sommano agli altri cinque già liquidati dalla giunta Marino. Rimangono nel limbo i restanti diciotto residence, in un incerto regime di proroga tra volontà di chiusura e assenza di politiche efficaci sulla casa che ne impedisce di fatto il superamento definitivo.

È questo in effetti il cuore della questione. Tutti gli operatori del settore, dal Comune alle cooperative che gestiscono i servizi esternalizzati dentro i Caat, passando per gli stessi abitanti, concordano sulla necessità di superare un modello che ha fatto il suo tempo producendo più danni che soluzioni. A riconoscerlo è lo stesso deputato e candidato sindaco Stefano Fassina, ieri in visita ad alcuni centri per l’assistenza alloggiativa, tra cui il progetto pilota sito in via Campo Farnia 100, ha detto: «I residence costituiscono una situazione sbagliata e uno spreco di risorse pubbliche».

Il problema è come e in che direzione superare tale situazione. Da Marino a Tronca permane la stessa incapacità di immaginare un modello alternativo credibile che non passi per il ritorno delle famiglie al mercato privato degli affitti. Per tutto il 2015 la soluzione immaginata veniva affidata al bando di gara per nuovi servizi, denominati Saat. Questi però non solo riproducevano in piccolo lo stesso identico sistema dei residence (cioè la proprietà privata di stabili e servizi pagata totalmente dalle casse comunali a fondo perduto), ma per di più le caratteristiche del bando furono così escludenti da determinare il fallimento della gara per assenza di candidati. Il fallimento del bando Saat ha riproposto come unica soluzione quello che nelle ipotesi era considerato uno strumento tampone e selettivo, il “buono casa”, uno strumento che però anche Fassina rifiuta come soluzione principale alla chiusura dei residence: «Non funziona, è uno strumento adeguato per una piccola fascia degli assistiti dal Comune, non può rappresentare la soluzione alla questione abitativa cittadina», ha dichiarato ieri di fronte ai residenti incerti del proprio futuro.

Il ricatto imposto dalla deliberazione del 30 ottobre 2015 del Comune di Roma impone ai residenti dei Caat di accettare, pena l’espulsione dal circuito dell’assistenza alloggiativa, il ritorno al mercato privato degli affitti. Questo però, se può essere immaginato per ristrette quote di residenti, non può certo essere previsto per tutti, per di più coattivamente. Non solo in questi anni i residence si sono popolati anche di famiglie in difficoltà abitativa proprio per aver accettato bonus comunali successivamente non più erogati, ma chi in questi mesi ha comunque accettato la proposta si sta trovando in estrema difficoltà nel reperire nel mercato privato alloggi disponibili, data la naturale ritrosia dei proprietari di casa nell’affittare il proprio immobile ad inquilini senza garanzie economiche.

La soluzione prospettata dal candidato sindaco di Sinistra italiana è quella di «ristrutturare una parte del patrimonio pubblico da destinare all’emergenza abitativa, prevedendo comunque una quota di centri temporanei per fare fronte alle diverse emergenze che possono capitare ad una grande città come Roma». In effetti, alla radice della questione, rimane l’assenza di politiche pubbliche cittadine che possano affrontare il problema evitando lo sperpero a fondo perduto di ingenti somme di denaro che finiscono nelle mani dei costruttori proprietari dei residence o delle singole abitazioni destinate a buono casa.

Lo stesso Fassina si è impegnato ieri anche a proporre un’interrogazione parlamentare sul caso Roma: «La nostra idea è quella di chiedere una moratoria verso atti che, pur rientranti formalmente nell’ordinaria amministrazione, sono di fatto atti di straordinaria amministrazione, che impegnano il Comune oltre ogni logica ordinaria», e tale richiesta coinvolge non solo la questione residence, ma anche – e forse soprattutto – gli sfratti e sgomberi minacciati ed eseguiti in queste settimane. Una moratoria che rimandi il problema ad un governo cittadino libero dal commissariamento e finalmente eletto. E in effetti, al di là delle soluzioni proposte, l’idea che la soluzione ad un problema di questo tipo sia politica piuttosto che tecnica, come invece ribadiscono da Comune, dovrebbe costituire il piano su cui convergere da parte di tutte le parti attualmente in fase di scontro.