Oggi e domani Roma sarà attraversata da due manifestazioni rivelatrici. Anzi, per meglio dire, da una prova di forza e da una scommessa. La prova di forza sarà quella che cercherà di mettere in campo il Pd cittadino a piazza Don Bosco, nell’estremo tentativo di intestarsi la battaglia legalitaria nel luogo delle polemiche seguite al funerale di Vittorio Casamonica. Una manifestazione cittadina ma di valenza nazionale. Una mobilitazione che chiamerà a raccolta elettori e iscritti del partito, ma non solo: annunciata l’adesione anche del possibile candidato alternativo al centrosinistra Alfio Marchini. La scommessa è quella dei movimenti sociali che si percepiscono come le vittime designate del giro di vite legalitario inaugurato dal Prefetto Gabrielli. Una percezione dovuta non solo al recente sgombero dello studentato occupato Degage, ma alle intenzioni del Prefetto di «normalizzare» la città in vista del Giubileo, procedendo allo sgombero di gran parte dei palazzi occupati dai movimenti per il diritto all’abitare nel corso del cosiddetto «tsunami tour», quando in un’unica giornata di quasi tre anni fa vennero occupati una decina di stabili nel territorio comunale.

Se la manifestazione «pro-legalità» sembrerebbe avere i numeri garantiti dall’apparato organizzativo del Pd e dalla copertura mediatica e politica a favore della stretta legalitaria, la scommessa dei movimenti avviene in un periodo di contrazione della partecipazione politica e di attacco senza precedenti sulla questione giustizia. Il sostanziale commissariamento del Comune di Roma, lungi dall’aver avviato una lunga campagna elettorale, sembrerebbe aver tolto più di qualche castagna dal fuoco per i soggetti politici cittadini, tutti a loro modo screditati e timorosi del confronto elettorale.

Da una parte la manifestazione del Pd rafforza paradossalmente il ruolo di Gabrielli quale vertice della lotta a Mafia capitale; dall’altra lascia la sinistra radicale nella scomoda posizione di chi vorrebbe reintrodurre il ruolo della politica nella gestione di una città come Roma, impossibile da amministrare tramite meri provvedimenti burocratico repressivi. Un paradosso che rende il corteo di domani una scommessa tutt’altro che alla portata dell’attuale forza dei movimenti cittadini, stretti nel complicato ruolo di discernere tra l’illegalità della corruzione cittadina e le forzature che essi operano nell’ambito della loro battaglia politica quotidiana.

Ieri mattina ha avuto luogo la conferenza stampa degli organizzatori della manifestazione sotto la Prefettura, dove si è ribadita la volontà di voler sfilare per le vie del centro cittadino. In tutta risposta, la Questura romana ha escluso, con un comunicato uscito nel pomeriggio, ogni possibile corteo, «dati i disagi che un corteo, che avrebbe attraversato la città per quasi cinque chilometri, avrebbe causato per i cittadini e le criticità per l’ordine pubblico». Comunicato a cui sono seguite 40 denunce e 10 «avvisi orali» (ex art.1, provvedimento di pericolosità sociale) verso i manifestanti al corteo seguito allo sgombero di Degage. La questione è tutt’ora sospesa, visto anche la tassativa applicazione, sempre da parte della Questura, del protocollo d’intesa sulle manifestazioni, che di fatto vieta ogni manifestazione per il centro cittadino che non abbia carattere nazionale e non sia organizzata nei giorni del fine settimana. Un braccio di ferro inconcludente e che sembra avvitarsi su se stesso, uno scontro che invece avrebbe bisogno di momenti di confronto politico per allentare una tensione ormai insostenibile.