La mossa è servita a mettere i 5 Stelle davanti al fatto compiuto, ma con la decisione di annunciare ad agosto la sua ricandidatura Virginia Raggi ha spiazzato anche il Pd. Che ha in Roma il punto (più) debole della strategia di Zingaretti. Impossibile infatti sostenere la linea dell’alleanza strategica con i 5 Stelle nella città dove l’amministrazione grillina affonda. E più affonda più attacca il Pd, anzi direttamente Zingaretti nel suo ruolo di presidente della regione.

E allora i democratici reagiscono all’accelerazione della sindaca cercando di rinviare il problema. Almeno a dopo le regionali e a dopo la resa dei conti nei 5 Stelle. Quando, Zingaretti si augura, dovranno capire anche loro che non c’è alternativa a un patto di lungo periodo. Ma intanto a Roma che si fa? Si aspetta.

PRIMA LE REGIONALI e il referendum e nel frattempo caccia a un nome importante che possa risolvere con la sua autorevolezza tutti i problemi, innanzitutto la costruzione della coalizione. Ma quel nome non c’è, perché tutti quelli che sono stati fatti circolare hanno gentilmente declinato: Sassoli, Gualtieri, da ultimo Enrico Letta che ieri ha cortesemente ricordato di non essere interessato e di essere di Pisa.

Il «macigno» Virginia, «il peggior sindaco degli ultimi decenni» secondo il gruppo dirigente del Pd che le preferisce addirittura Alemanno, rovina i piani anche in vista del secondo turno. Perché è quello l’obiettivo massimo dei dem in città, consapevoli di dover affrontare una destra sovranista molto forte e oltretutto assai radicata in città.

Se non sarà Giorgia Meloni la candidata, visto che la sua aspirazione è quella di guidare tutto il centrodestra nazionale, il campione dell’alleanza Lega-Fdi-Forza Italia dovrebbe verosimilmente venire dal suo partito. Per un ballottaggio che già si presenta assai impervio per il candidato del Pd, visto che è difficile immaginare che Virginia Raggi possa mai fare un appello al voto per i dem o che gli elettori dei 5 Stelle al suo seguito possano convergere sul candidato di Zingaretti. L’alleanza giallo-rossa per il governo è probabile che sarà ancora in piedi la prossima primavera, quando si voterà per le comunali, ma malgrado ciò i due «alleati» principali sono destinati a scontrarsi nella Capitale. Rischiando di favorire proprio i successori di Alemanno.

CONTRO L’ATTENDISMO di Zingaretti si muovono alcune correnti nel Pd. Gli ex renziani di Base riformista ieri hanno chiesto di stabilire al più presto la data delle primarie. E per le primarie lavora un fronte al confine sinistro del Pd, rappresentato dall’europarlamentare Massimiliano Smeriglio e da Liberare Roma, la sigla che ha come punto di riferimento il presidente del’VIII municipio Amedeo Ciaccheri. Primarie alle quali potrebbe candidarsi la senatrice Pd Monica Cirinnà, autrice della legge sulle unioni civili ma anche ex amministratrice in città nelle giunte di Rutelli e Veltroni.

Niente accordi con il Pd è invece la prospettiva di Roma Ventuno, la «coalizione sociale» lanciata dal deputato di LeU Stefano Fassina. Che rivolge subito un secco no alla ricandidatura di Raggi, ma dice no «anche ai nostalgici del centrosinistra, già asfaltato dai 5 Stelle». «Il Pd faccia attenzione – dice Fassina – perché invocare la liberazione della città da Raggi è pericoloso se non si ha consapevolezza che i romani quattro anni fa hanno votato in massa per lei proprio per liberarsi di quelli che c’erano prima».

Critica la strategia attendista di Zingaretti anche Riccardo Magi, deputato radicale di +Europa ed ex consigliere comunale a Roma, lui stesso tra i possibili candidati di primarie allargate. «È già tardi – dice Magi – a un anno dal voto anziché parlare di Virginia Raggi si sarebbe potuto e dovuto parlare delle primarie del fronte riformatore e progressista. Diciamo la verità, l’annuncio della sindaca è anche frutto dell’attendismo, della mancanza di iniziativa e del vuoto tatticismo del Pd».