L’annunciata decisione della sindaca Virginia Raggi di fermare la candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2024 merita una riflessione sul governo dei grandi eventi. Del resto sono diversi gli studi e le inchieste che hanno messo in evidenza le conseguenze sui bilanci delle città e gli errori commessi ad Atene, Soci, Rio de Janeiro. A questi risultati vengono contrapposti altri che raccontano come proprio le Olimpiadi abbiano permesso di cambiare in meglio città come Barcellona, Sidney e Londra. È inutile girarci intorno, il vero tema di discussione riguarda la fiducia nella capacità di governo e la visione che accompagna le scelte legate a questi eventi per renderli utili alle città.

Ora che le decisioni sembrano prese, possiamo dire che è proprio questo tipo di discussione che è mancata a Roma in questi mesi, dove l’opposizione nei confronti della candidatura aveva come punto centrale proprio le conseguenze negative per la città e sull’ambiente, a prescindere da un dossier olimpico che in pochi conoscevano. In un appello che aveva come primi firmatari Salvatore Settis e Tomaso Montanari, si chiedeva a Raggi di ritirare la candidatura perché Roma non sarebbe nelle condizioni di affrontare sfide di questo tipo. Nel documento si affermava che il degrado profondo in cui si trova la città, lo stato di abbandono delle periferie, la corruzione che da anni è penetrata nel tessuto amministrativo, impediscano qualsiasi possibilità che l’occasione olimpica aiuti ad affrontare i drammatici problemi di Roma e non diventi invece il pretesto per altri scempi, sprechi, ruberie. È la tesi condivisa da Vezio de Lucia intervistato domenica dal manifesto: per salvare la città da vecchi e nuovi «barbari» è meglio lasciare perdere.

Eppure se si allarga lo sguardo da Roma alle scelte delle altre due principali città candidate ci si accorge che proprio l’ambiente rappresenti oggi il segno distintivo dei rispettivi progetti. A Parigi la sindaca socialista Hidalgo ha previsto interventi e impianti inquadrati in un programma di riqualificazione verde della città, di cui le Olimpiadi sono un tassello e un acceleratore importante. Mentre a Los Angeles il progetto olimpico vede il pieno coinvolgimento delle imprese della Silicon Valley, a partire da Tesla, leader mondiale nelle auto elettriche, in una California che poche settimane fa ha approvato, grazie alla leadership del governatore democratico Jerry Brown, un ambizioso programma di sviluppo delle rinnovabili e riduzione delle emissioni. Come ha osservato saggiamente l’assessore all’urbanistica di Roma Paolo Berdini, la differenza tra un buon progetto olimpico utile a Roma e uno cattivo, utile solo a qualche interesse forte, dipende da due criteri: ciò che si prevede di realizzare e chi lo realizza.

Per queste ragioni la decisione del Movimento Cinque Stelle appare come una fuga dalla responsabilità di governare un processo indubbiamente complesso. Ma chi a sinistra ha già benedetto questa scelta ragiona nello stesso modo, in qualche modo confermando l’idea che questi grandi eventi abbiano dentro un virus che si porta dietro corruzione e sperperi, e di non credere nella possibilità che i Cinque Stelle oggi al governo siano in grado di cambiare e di gestire in modo diverso dal passato. Persino quando ci riferiamo a un’Olimpiade organizzata sessant’anni fa e a prescindere se i sindaci si chiamino Rebecchini o Carraro, Alemanno, Veltroni o Raggi.

Di sicuro questa vicenda mostra come tutta la politica italiana abbia un enorme gap di comprensione di come oggi l’ambiente sia un fattore imprescindibile di innovazione e sviluppo, un ritardo che dovrebbe interrogare in primo luogo la sinistra. Anche perché oggi più che mai Roma avrebbe bisogno di un progetto in cui la sostenibilità ambientale e la valorizzazione del suo incomparabile patrimonio storico siano i pilastri centrali del futuro, come avviene nelle principali città europee e Usa.

Proprio queste ragioni avevano portato le principali associazioni ambientaliste italiane ad aprire, da più di un anno, un confronto sulla candidatura con il comitato promotore e il Coni. Un percorso non concluso, perché diverse scelte importanti sono ancora da assumere, ma che ci ha consentito di influenzare l’impostazione della candidatura e di ottenere alcuni risultati positivi. Cercando di dare concretezza alle nuove regole fissate dal Cio che danno centralità agli aspetti ambientali, abbiamo proposto una decisa «cura del ferro» per aiutare i cittadini, durante ma soprattutto dopo le Olimpiadi, a muoversi con mezzi pubblici efficienti, la realizzazione intorno al Tevere di un grande parco pubblico, pulito e fruibile, l’adozione di criteri rigorosi di trasparenza e legalità per ogni opera olimpica che prevedano senza eccezioni procedure autorizzative ordinarie, concorsi tra progetti, gare d’appalto gestite dall’ANAC. Una scelta non semplice, ma che nasceva dall’idea che l’ambientalismo non si debba accontentare di denunciare i problemi, ma avere l’ambizione di essere parte della soluzione.

Forse prendere il toro per le corna, affrontare il bollente dossier olimpico a partire dal merito delle scelte avrebbe permesso anche a Virginia Raggi di impostare in maniera diverso il governo della città, perché avrebbe spostato l’agenda politica dalle nomine alle scelte per rendere la città più vivibile, moderna e accogliente.

* Vicepresidente nazionale Legambiente