Sto seguendo, un po’ da lontano ma con sentimenti che spaziano dal disgusto alla rabbia, la stupidissima polemica sollevata da un recente post del sito di Rolling Stone. Il magazine online, nella scia della moda del basso web di oggi (spargere veleno) si è lanciato in una paternale rivolta, ma pensa un po’, alla gente che circola in bicicletta, inserendola sotto il generico nome di «ciclisti», intendendo evidentemente non solo i gruppi sportivi ma praticamente tutti coloro che pedalano a vario titolo.

Il post si annuncia autoreferenziale: il titolo è Cadono come mosche e non sanno stare in fila. Chi sono?, continua a circolare tra i vilipesi, ancora sconcertati dall’attacco a freddo e immotivato. L’ho letto attraverso gli stralci riportati dai molti che hanno reagito indignati (tra questi il ct della nazionale di ciclismo, Davide Cassani, e la Fondazione Scarponi, creatura del fratello di Michele, Marco Scarponi, nata dopo la morte sotto un furgone del campione italiano).
Seguo le vicende dei miei compagni di lotta, che scrivono indignati al direttore della rivista, il quale aggiunge chiodi alla bara della logica, ribadendo che la caterva di insulti a morti e feriti in strada, e nel caso dei morti ai parenti che hanno subito il lutto, sarebbe «ironia». Che risate. Smetto qui di considerare il caso di specie, solo l’ennesimo episodio di una serie che sembra andare di moda però stavolta davvero sguaiato e gratuito. Vorrei ragionare su quali siano le cause che spingono alcuni primati dotati di lessico a molestare gente che di suo è la più leggera e innocua sulle strade italiane.
Perché lo fanno? Una prima possibile risposta è in ciò che chiamo «rancore del prigioniero»: vedendo in atto una liberazione, il prigioniero ne soffre, sente acuire l’ingiustizia nei suoi confronti e prova rancore per il liberato mentre lui è ancora in catene. Un’altra, meno incomprensibile, è la «concorrenza»: siamo specie diverse che si contendono lo stesso territorio, è comprensibile che ci sia lotta per lo spazio, e infatti chi come me si sposta in bici lotta per farlo, quindi capisco; però nessuno di noi augura la morte violenta in strada, né ha la possibilità di metterla in atto. Altra possibile spiegazione è la «vigliaccheria della folla»: ancora oggi chi si sposta in macchina è una maggioranza, di conseguenza si sente autorizzata ad adottare la pratica squadrista del branco che attacca l’avversario numericamente inferiore.

Tornando al caso di Rolling Stone, quella testata ogni tanto se ne esce con pezzi provocatori per aumentare gli accessi al sito. Non ho idea se sia per emergere dal rumore del web, perché sia estate e il pezzo cretino è un must. Però tirare questo calcio all’inguine del sorpreso passante pare che abbia raggiunto il risultato di ottenere un picco di collegamenti, poco importa se di gente sconcertata dalla brutalità degli argomenti o di homini salviniensis alla ricerca dell’ennesimo pestaggio via schermo.

Continuo a trovare sconcertante il dilagare del meccanismo perverso che più o meno segue questa dinamica: dico una castroneria stellare, assolutamente fuori dalla realtà, e contemporaneamente rivendico il mio ruolo coraggioso di andare contro ogni senso comune, cercando l’applauso di altri che inneggiano al mio gran fegato di dire castronerie in mondovisione e senza neanche arrossire. Vi ricorda qualcuno al governo?