Roland Hofer è un piccolo grande attore nato a Bolzano 53 anni fa. Ha fatto presto i conti con se stesso e ad appena 14 anni piuttosto che compiacere la madre e vivere una vita in un inverno sepolcrale da studente dotato ma poco motivato ha scelto di assecondare l’amore per il palcoscenico ed è fuggito via con una compagnia di circo di passaggio per la sua città. Era il 1974 e da Napoli il capocomico, quando si accorse del clandestino nascosto nel fieno insieme agli elefanti, avvisò la famiglia Hofer in pena per la scomparsa del ragazzo.

La madre rassegnata lasciò che Roland restasse con loro, tanto al passaggio del prossimo circo, ne era sicura, il figlio avrebbe provato di nuovo a fuggire. Abbiamo incontrato l’attore dopo la prima italiana dell’eccellente Die Geschichte Von Kaspar Hauser per la regia del lettone Alvis Hermanis ospitato al Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa per la settima edizione del Napoli Teatro Festival Italia (6-22 giugno), appuntamento che si rinnova dal 2008 e che resta tra le migliori occasioni di riflessione sullo stato del teatro contemporaneo. Hermanis è esponente del teatro postdrammatico ovvero di quella corrente orientata non tanto sull’aderenza al testo quanto sulla possibilità di suscitare reazioni nel pubblico in relazione con il testo stesso. Il regista sceglie la storia esemplare del fanciullo d’Europa Kaspar Hauser, figura emblematica del Romanticismo europeo per alcuni solo un impostore per altri il futuro principe di Baden assassinato per oscuri intrighi dinastici, e mette in scena il suo dramma parafrasando l’allegoria di Gulliver e i lillipuziani. Kaspar Hauser appare su una piazza di Norimberga, è un gigante, a stento pronuncia il suo nome, non sa leggere né scrivere, a malapena sa camminare. Prima di incontrare la civiltà era forse parte della natura stessa, era il gentiluomo della natura.

Con lui c’è l’onnisciente Straniero, un piccolo uomo (Hofer), che accompagna il protagonista fino al momento culminante della morte e che rappresenta il filo che lega la realtà all’incubo collettivo della scena. Il sipario si apre e siamo catapultati in una perfetta società Biedermeier in miniatura. Nella città tedesca i notabili del luogo – in scena sono bambini manovrati da attori adulti che come ombre recitano le battute al posto loro – fanno a gara per introdurre il buon selvaggio nel consorzio degli uomini, per educarlo nel timore di Dio. Gli insegnano le arti, le buone maniere, le lingue. Sono convinti che Kaspar è stato segregato privo di igiene e relazioni umane. Ma gli uomini bambini inadatti alla funzione pedagogica commettono il crimine della consapevolezza e Kaspar Hauser di fronte agli interrogativi che la sua natura di uomo civilizzato gli pone (Perché l’acqua è limpida? Chi ha attaccato le foglie agli alberi? Perché la musica mi fa male? Perché la vita è triste? Perché la realtà non è verità? Cos’è l’anima?) subisce l’educazione al sentimento, conosce la sofferenza e desidera il ritorno al suo stato di natura felice e pacifica.

Die Geschichte Von Kaspar Hauser prodotto dallo Schauspielhaus di Zurigo è in giro da due anni, come sei stato scritturato per la parte dello Straniero?

L’intento di Hermanis in questo spettacolo era quello di reinventare il teatro dei burattini ma ambientandolo in una dimensione da incubo, infatti qui si racconta la storia drammatica di un crimine forse collettivo e il teatro di burattini tradizionalmente non racconta questo genere di cose. Quando ho conosciuto il regista lui cercava un attore come me ed io cercavo uno spettacolo come questo. Non è stato facile, mi ha detto Hermanis, trovare un attore piccolo perché in Svizzera le persone come me non fanno gli artisti. Negli anni Venti e Trenta le persone fuori serie, troppo piccole, troppo grandi o troppo grasse, erano messe in mostra e per questo motivo oggi loro non vogliono fare gli artisti, sono professionisti e desiderano una tranquilla vita borghese. Ho ricevuto lettere minatorie perché per loro è da pazzi che io faccia questo mestiere. Mi scrivono che non dovrei espormi, che sono strano, cose di questo tipo. Per me invece una persona che mi stringe la mano e mi sorride dopo uno spettacolo è la cosa più importante, più importante che ricevere i soldi. Tutto questo ha fatto in modo che in Svizzera siamo solo in tre a fare questo lavoro, io, mia moglie Irene e mio cognato Speedy che lavora nel circo Knie e questo è un fatto positivo, così per noi c’è più lavoro.

Quali sono state le difficoltà maggiori considerando che in scena i protagonisti sono bambini che recitano come marionette?

Il problema principale era tenere sei bambini di 7 e 12 anni svegli e occupati fino a tardi, abbiamo provato di tutto, fumetti, cioccolatini, trucchi. Aggiungi poi che loro non parlano sulla scena, muovono solo le labbra, sono dei pupazzi manovrati da adulti che li seguono e li comandano. Non sono neanche attori ma musicisti eccellenti. La musica è un elemento fondamentale dello spettacolo. Questo è uno dei motivi per i quali dobbiamo interrompere le repliche, loro hanno un’altra carriera avviata e noi tutti siamo consapevoli del fatto che non riusciremo a mettere insieme un altro gruppo di musicisti così dotati. Dovremmo lavorare anni e trovare un’altra produzione per raggiungere questi livelli, impensabile. Per montare Kaspar Hauser abbiamo provato solo due ore al giorno, per non stancare i bambini, mentre a teatro le prove durano anche 8 o 10 ore, è stato tutto molto faticoso e dispendioso. Linus von Seth, il bambino che recita la parte del sindaco, ha 9 anni, è eccezionale. Lui vorrebbe fare lo spettacolo da solo, conosce perfettamente le battute e i movimenti, e ultimamente ci sono state delle tensioni proprio a causa di queste sue richieste. Inoltre i loro corpi crescono e non si muovono più agevolmente come prima sulla scena.

Da alcuni anni preferisci dedicarti al teatro e al cinema, che cosa ti ha spinto a lasciare il circo?

Ho vissuto gli anni più belli della mia vita al circo. Sono stato con Nando, Rinaldo e Liana Orfei dal 1974 al 1979, poi sono passato a lavorare nel circo di Enrico Caroli e con lui ho viaggiato in tutto il mondo. È stata un’esperienza eccezionale e irripetibile soprattutto perché, è molto triste ammetterlo, quel tipo di circo sta finendo. Togliere gli animali ai circhi è stato come decretare la loro morte. Oggi c’è il Cirque du Soleil ma è una cosa diversa, si tratta di numeri basati sulla bravura acrobatica dell’uomo, gli animali lì non esistono come non esiste più la visione familiare dello spettacolo, il fatto di stare insieme, di discutere, parlare. Anni fa era tutto condiviso e la cosa importante non erano i soldi ma l’esperienza di vita. Con il teatro ci sono altre soddisfazioni ma non c’è una vita di comunità. La fine del circo è la fine di un linguaggio espressivo, la scomparsa di una tradizione enorme, quella di una città viaggiante che racconta cose mai viste. Con la morte del circo secondo me si perde la realtà dello spettacolo, al cinema non c’è realtà.

Se tu al circo fai un salto e cadi quella è una caduta vera. Quando viaggiavamo la gente arrivava per vederci all’opera prima dello spettacolo, a montare il tendone e applaudiva quando avevamo finito di lavorare alla preparazione dello spettacolo. Certo la tv e il cinema hanno una responsabilità nell’aver ucciso certi spettacoli come il circo. Io stesso ora preferisco dedicarmi al teatro, alla tv e al cinema in prima persona. Sto montando uno spettacolo con mia moglie, Normal Life per la regia di Sebastiano Toma un italiano che vive ad Amburgo. È uno spettacolo muto, con molta musica e situazioni tratte dalla nostra vita di coppia. È la storia di un uomo e una donna, lei alta 127 centimetri fa la sarta, lui di 117 cm. è un falegname con un sogno nel cassetto quello di essere Elvis Presley. Così di tanto in tanto di nascosto dalla moglie apre il baule, tira fuori il vestito di Elvis e indossa il suo sogno.