Tutti dovranno rispettare l’accordo di Losanna sul nucleare e non solo l’Iran. Su questo punto ieri il presidente Hassan Rohani e la Guida Suprema l’ayatollah Khamenei, sono stati inflessibili. In gioco c’è la fine delle sanzioni, il risultato più concreto che Tehran ritiene di avere portato a casa dalla lunghissima trattativa sul suo programma atomico condotta con i Paesi del 5+1. Trattativa che si è chiusa il 2 aprile con un accordo quadro che apre la strada a quello definitivo che le parti dovranno siglare entro il 30 giugno. «Non firmeremo alcun accordo a meno che tutte le sanzioni non vengano cancellate il primo giorno della sua applicazione», ha proclamato perentorio Rohani. Tehran resta ferma sulle sue posizioni. D’altronde nella dichiarazione congiunta di Losanna si parla di fine delle sanzioni Usa e Ue «contemporaneamente alla applicazione, verificata dall’Aiea, degli impegni presi da Tehran».

 

Invece nella scheda diffusa dagli Usa dopo l’intesa di Losanna si parla di «sospensione» delle sanzioni solo quando l’Aiea avrà compiuto i passi concordati e di possibile ripristino nel caso di inadempienza. Barack Obama parla di rimozione graduale e condizionata e dalla sua parte ha il presidente francese Holland. Un atteggiamento che è frutto anche delle incessanti proteste e pressioni di Benyamin Netanyahu. Il premier israeliano, deciso a silurare la scadenza del 30 giugno, porta avanti quella che il quotidiano Haaretz descrive come un’azione nei confronti del Congresso e un’altra verso la Casa Bianca. Il governo Netanyahu farà di tutto per persuadere i membri del Congresso a introdurre una clausola che prevede che l’accordo firmato con l’Iran debba essere visto come un “trattato internazionale”. In questo caso sarebbe necessario un voto da parte del Senato Usa. A inizio settimana peraltro il ministro degli affari strategici Yuval Steinitz aveva indicato 10 punti che contengono le richieste di Israele. «Dall’inizio dell’accordo sul nucleare, il tempo per Tehran di giungere alla bomba atomica sarà pari a zero. Questo sarà l’inevitabile risultato dell’automatica rimozione delle restrizioni», ha protestato da parte sua Netanyahu polemizzando a distanza con Barack Obama. Secondo il presidente Usa invece l’accordo prevede controlli che per diversi anni garantiranno che l’Iran non possa costruire una bomba prima di 12 mesi neppure laddove violasse gli impegni.

 

Gli iraniani sanno che le pressioni israeliane comunque avranno il loro effetto sull’Amministrazione Usa, come indica il mezzo passo indietro di Obama sulle sanzioni. Tehran, ha ribadito ieri Rohani nella Giornata del Nucleare, non intende costruire l’arma nucleare ma non intende fare altre concessioni e vuole la fine immediata delle sanzioni che hanno paralizzato per anni la sua economia e il suo sviluppo. In appoggio del presidente, Khamenei ha affermato, con alcuni tweet lanciati ieri, che «Non è accettabile alcuna ispezione non convenzionale che metta l’Iran sotto controllo speciale. Controlli stranieri sulla sicurezza dell’Iran non sono permessi». «Tutto sta nei dettagli – ha proseguito la Guida Suprema, mostrando parecchio scetticismo verso le intese di Losanna – la parte sleale (gli Usa, ndr) vuole accoltellare l’Iran alla schiena sui dettagli….Poche ore dopo i negoziati, gli americani hanno diffuso una scheda i cui contenuti erano per la maggior parte contrari a quanto era stato concordato. Loro ingannano sempre e non mantengono le promesse… l’Islam e la ragione ci vietano di acquisire armi nucleari, ma l’industria nucleare è una necessità per il futuro del Paese nell’energia, nella medicina, nell’agricoltura».

 

Khamenei è intervenuto anche sulla crisi nello Yemen e l’attacco lanciato dai dalla coalizione a guida saudita contro i ribelli sciiti Houthi che ha definito un «genocidio». «La forza militare di Israele è più grande di quella dei sauditi e Gaza è un’area piccola, ma loro hanno fallito. Lo Yemen invece è un vasto Paese e la popolazione è di decine di milioni», ha detto, prevedendo una sconfitta militare dei «nuovi governanti» sauditi. Intanto Russia e Venezuela contestano un progetto di risoluzione delle Nazioni unite che vieterebbe la spedizione di armi ai leader dei ribelli Houthi. Mosca vuole che embargo per tutte le parti in conflitto e che autorizzi pause umanitarie negli attacchi aerei da parte della coalizione formata da Riyadh.