Il giorno dopo il discorso di Donald Trump alle Nazioni Unite, dove ha criticato l’IranDeal e lo stesso Iran con termini pesantissimi, è stato il turno del presidente iraniano Hassan Rohani. Con uno stile retorico differente da quello della controparte americana, Rohani ha citato i concetti di filosofia, poesia ed armonia, antitetici a quello di aggressività e conflitto, e di come la bellezza sia un valore che si contrappone all’intrinseca bruttezza di armi e guerra, ma la retorica fiorita è stata abbandonata quando Rohani, senza mai menzionare il nome di Trump, ha condannato le «brutte parole ignoranti» pronunciate il giorno prima contro la nazione iraniana «parole odiose, infondate e inadeguate all’Assemblea Generale dell’Onu».

Mentre Trump aveva definito l’IranDeal «il peggior accordo di sempre», Rohani ha difeso l’accordo del 2015, firmato dall’Iran e da Stati Uniti, Francia, Germania, Russia, Regno Unito e Cina, dicendosi sicuro che possa diventare “un nuovo modello per le relazioni internazionali”. Come risultato dell’accordo, Rohani ha dichiarato che l’Iran ha “aperto le porte all’impegno e alla cooperazione”, e ha insistito sul fatto che Teheran rispetta rigorosamente le sue condizioni.

Rohani ha sottolineato, poi, che l’IranDeal appartiene all’intera comunità internazionale, e non solo a uno o due Paesi, e che “L’Iran non sarà il primo a violare l’accordo, ma risponderemo in maniera decisa e risoluta a qualsiasi violazione. Quella della moderazione è la strada scelta e intrapresa dall’Iran. Noi non minacciamo nessuno, ma allo stesso tempo non non tollereremo alcuna minaccia nei nostri confronti”, aggiungendo che se gli Usa dovessero uscire dall’intesa “distruggerebbero solo la loro credibilità”.

Il presidente iraniano, sempre senza menzionare direttamente Trump, si è detto certo che la distruzione dell’accordo sul nucleare “da parte dei nuovi arrivati nel mondo della politica” non impedirà il progresso e l’avanzamento dell’Iran, che è già stato sottoposto a sanzioni che, lungi dall’averlo indebolito, ne ha spronato l’evoluzione.

Solo un’ora prima, il nuovo arrivato nel mondo della politica Donald Trump, alla fine dell’incontro con il presidente palestinese Mahmoud Abbas, ai giornalisti che lo incalzavano per sapere la decisione sull’IranDeal, aveva risposto in pieno stile da reality show, dichiarando per tre volte che la decisione è già stata presa, ma non quale sia, limitandosi a dire “vi informerò“.

A differenza dell’attacco alla Corea del Nord, che appare più una guerra di parole, quello con l’Iran è uno scontro vero; la sera prima il Segretario di Stato Rex Tillerson, in un’intervista a Fox News, aveva confermato che gli Stati Uniti vogliono “rivisitare” il trattato nucleare con l’Iran.

“Abbiamo bisogno del sostegno dei nostri alleati – ha detto Tillerson – europei e non, per porre la questione al meglio nei confronti dell’Iran sul fatto che questo accordo davvero necessita di essere rivisitato”.
 Se Trump il 15 Ottobre non certificherà l’accordo in base al quale l’Iran ha radicalmente ridotto il suo programma nucleare, in cambio di un sollievo delle sanzioni, il Congresso avrà 60 giorni per decidere se ripristinare o meno le sanzioni statunitensi e se non sarà in grado di decidere, la decisione tornerà al presidente.

Sul discorso di Trump alle Nazioni Unite si è espressa anche Hillary Clinton, che al Late Show with Stephen Colbert, ha definito il discorso “molto cupo” e “pericoloso”.
 “Quando si è davanti a situazioni pericolose come ciò che sta succedendo nella Corea del Nord, per chiarire le cose il primo approccio dovrebbe essere sempre diplomatico”, ha detto l’ex candidata, scatenando la prevedibile rabbia di Trump su Twitter.

Parole pesanti all’Onu sono state pronunciate anche dal presidente palestinese Mahmoud Abbas, che ha condannato il doppio standard delle Nazioni Unite per quanto riguarda le violazioni dei diritti umani, da parte di Israele contro il popolo palestinese. “Mi chiedo come abbiano permesso questo doppio standard”, ha detto in riferimento alle risoluzioni approvate dall’Onu e che non sono state rispettate da Israele e “sono cadute sulle orecchie sorde”.

A questo proposito, citando Mandela, ha avvertito contro i rischi di proseguire il regime dell’apartheid in questo ventunesimo secolo. Ha aggiunto che nel frattempo i palestinesi continueranno a cercare alternative che “consentano di mantenere la nostra esistenza”.

Abbas ha affermato che tutte le opzioni “saranno pacifiche”, tuttavia ha sottolineato che “l’impegno unilaterale alla pace non è mai sufficiente per raggiungerla”. Israele continua la sua occupazione, distrugge scuole, case e attacca i palestinesi, ma “nessuno è disturbato da ciò”.

Gli Stati Uniti hanno recentemente inaugurato una base militare permanente nei territori palestinesi occupati che ospiterà la sua prima unità stazionaria.

“Ci sono politiche che hanno incoraggiato le azioni di Israele che ha violato tutte le convenzioni internazionali e nessuno ha agito contro di loro”, ha detto Abbas, aggiungendo che questa nazione “si crede sopra la legge, vero?”

E’ stato questo, fino ad ora, l’intervento più accorato e forse ancora una volta inascoltato di questa Assemblea Generale.

Burocratici passi avanti, invece, sulla Libia per la quale crisi le Nazioni Unite hanno proposto un nuovo approccio che include una modifica dell’accordo di pace lanciato nel 2015 dall’Onu e che non ha mai avuto successo, tenendo un referendum costituzionale ed elezioni generali.

L’inviato libico all’Onu, Ghassan Salamé, ha detto in una dichiarazione al termine di un “evento di alto livello sulla Libia” che si è tenuto ai margini dell’Assemblea Generale, che il “Piano d’azione per la Libia”è stato redatto non solo da lui ma dopo una consultazione con i libici che ha incontrato in tutto il Paese e che quindi è “in sostanza, una sintesi delle loro speranze e obiettivi”.

Salamé ha spiegato che la prossima settimana una commissione si riunirà con diversi attori politici per concordare questi cambiamenti e che una conferenza nazionale sarà convocata sotto gli auspici del Segretario generale delle Nazioni Unite.

In quel caso, ha detto, la porta si aprirà a tutti gli attori per aderire al processo politico e saranno concordati i nomi delle persone che saranno parte di una “istituzione esecutiva riconfigurata”.

Parallelamente, verrà avviata un’iniziativa per unificare l’esercito, stabilire un dialogo con gruppi armati e promuovere la riconciliazione a livello locale.

Nella fase finale, il piano prevede un referendum per l’adozione di una costituzione e poi l’elezione di un presidente e di un parlamento per porre fine alla transizione.