Il presidente iraniano, Hassan Rohani, ha cancellato in seguito agli attentati che venerdì sera hanno colpito Parigi, la sua visita in Italia e in Francia. Risaliva a sedici anni fa l’ultimo viaggio ufficiale dell’allora presidente riformista Mohammad Khatami a Roma. Dopo la firma dell’accordo sul nucleare a Vienna lo scorso 14 luglio, Tehran ha aperto le porte a nuovi investimenti esteri.
È stata riaperta l’ambasciata inglese in Iran, mentre le catene di alberghi e ristoranti (Ibis e Kfc) hanno inaugurato le sedi locali dopo anni di resistenza.

Alcune manifestazioni di protesta degli ultra-conservatori, nella capitale iraniana, hanno accompagnato la riapertura di questi locali, associati da alcuni ambienti a Tehran con la penetrazione capitalistica occidentale.

Annunciando lo slittamento del suo viaggio in Italia, Rohani ha definito gli attacchi di Parigi, rivendicati da Is, «un crimine contro l’umanità». E ha assicurato che la sua visita è stata solo rinviata. Tuttavia, questo forfait all’ultimo minuto ha chiarito bene quanto l’asse anti-Is tra Mosca e Tehran non piaccia ai jihadisti. Gli attentatori hanno forse scelto proprio la data del 13 novembre, mettendo a soqquadro la capitale francese, per l’opposizione al riavvicinamento tra Iran, Usa e Ue che si sta concretizzando con la partecipazione di Tehran al tavolo negoziale per trovare una soluzione alla guerra civile in Siria.

L’Italia è stata completamente assente nella sua politica estera verso la Repubblica islamica ed è stata esclusa (o si è auto-esclusa) dai negoziati del quintetto (paesi del Consiglio di Sicurezza Onu e Germania), i P5+1 che hanno raggiunto l’intesa di Vienna. L’Italia è così passata da primo partner economico europeo con Tehran al gelo nelle relazioni bilaterali che ora il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, vorrebbe ripristinare in extremis, accodandosi alla corsa degli altri paesi europei verso l’Iran.

Alla vigilia dell’annunciato viaggio di Rohani, Tehran ha momentaneamente fermato lo smantellamento delle centrifughe in due centrali del paese, Natanz e Fordo. Gli ultra-conservatori hanno chiesto di rallentare le procedure di smantellamento per aspettare che l’Agenzia internazionale per l’Energia atomica (Aiea) completi le sue ispezioni minuziose. Il presidente Usa, Barack Obama, aveva annunciato nelle scorse settimane l’avvio della formulazione del piano di cancellazione delle sanzioni Usa contro Tehran, nonostante i repubblicani continuino a minacciare l’imposizione di nuove misure, illegali in base agli accordi di Vienna. Inoltre, il Senatore repubblicano, Ted Cruz, ha accusato Tehran di aver causato il 14% (196 soldati) delle vittime tra le truppe statunitensi nel conflitto in Iraq. Alla vigilia della sua mancata partenza, Rohani aveva assicurato che l’intesa sul nucleare non include necessariamente un riavvicinamento con Washington. Per il politico tecnocrate, sarebbe tuttavia auspicabile la riapertura delle reciproche ambasciate, chiuse in seguito alla crisi degli ostaggi Usa del 1979.

Dopo la dura reazione di Obama agli attentati in Francia, Washington ha anche lanciato alcuni raid aerei nella città libica di Derna contro i jihadisti dello Stato islamico (Is). È la prima volta dall’avvio delle operazioni contro gli islamisti radicali in Siria e Iraq che gli Usa attaccano postazioni di Is in Libia. Il portavoce del Pentagono, Peter Cook, ha confermato che in uno dei raid, con F-15, è stato colpito Wisam al-Zubaidi, noto come Abu Nabil al-Anbari, uno dei leader di Is in Libia. Al-Anbari era un ex poliziotto iracheno, mandato nel 2014 in Libia. Il paese è dilaniato da un aspro scontro politico tra i parlamenti di Tripoli e Tobruk che ha lasciato ampio spazio ai jihadisti nelle città di Sirte e Derna. Molti ex-gheddafiani hanno assicurato il loro sostegno ai sedicenti Is in Libia che da mesi gestiscono i centri urbani delle due città.