Rohani debutta da presidente e parla di Siria, nucleare e rapporti con gli Stati uniti. Il tecnico-moderato, che si insedierà il prossimo 3 agosto, punta sulla distensione con il mondo. Il suo discorso ha poco a che vedere con l’insediamento del riformista Mohammed Khatami, che nel 1997 cercava di placare ancora i timori internazionali sull’esportabilità del modello della Repubblica islamica. Rohani punta invece sul modello pragmatico, tracciato da Rafsanjani, in politica estera e interna. Tanto che alle urla di alcuni giovani «Mussavi dovrebbe essere qui», ha tagliato corto: «non è compito del solo presidente».

Ma a parte una breve digressione sulla centralità della lotta alla crisi economica, il colloquio con la stampa si è incentrato sulla politica estera. Rohani vorrebbe che gli Stati uniti superassero la logica del «dual containment» (Tehran-Baghdad) che negli anni Ottanta aveva segnato le sorti della Rivoluzione islamica, bloccata dalla guerra tra Iran e Iraq. «Stop all’ingerenza Usa negli affari interni dell’Iran», ha chiesto Rohani, aggiungendo che i rapporti tra i due paesi sono «complicati da una vecchia ferita». Il mullah ha prospettato quindi un «futuro nuovo» nelle relazioni con Washington, la cui bandiera viene calpestata ancora da chi varca la soglia d’ingresso dell’Università di Tehran. 

Ed è passato al contenzioso sul programma nucleare. La speranza di Rohani è di raggiungere un accordo garantendo maggiore trasparenza, senza assicurare concessioni sulla sospensione dell’arricchimento dell’uranio. Il moderato, eletto a sorpresa al primo turno, ha definito «inique e ingiustificate» le sanzioni imposte all’Iran in merito al programma nucleare. Secondo il quotidiano al-Hayat, Rohani vorrebbe intrattenere colloqui diretti con ognuno dei sei paesi impegnati nei negoziati. Sarebbe la prima volta che Tehran e Washington si incontrano ufficialmente, dopo 34 anni di congelamento delle relazioni internazionali. 

Ma Washington e Bruxelles attendevano un chiarimento soprattutto sulla crisi siriana. E Rohani è sembrato quanto mai allineato sulle posizione di Mosca. Da una parte, ha tuonato contro ogni intervento militare in Siria. E si è detto sicuro che la Russia «non permetterà» una no-fly zone. Dall’altra, ha aperto ai risultati di libere elezioni a Damasco. «La crisi sarà risolta dal voto dei siriani. L’attuale governo deve essere rispettato dagli altri Paesi fino alle prossime elezioni (presidenziali del 2014, ndr)», ha sostenuto Rohani. Una posizione meno oltranzista e più pragmatica del predecessore, ancora osteggiata da molti ayatollah conservatori. Proprio nelle prime ore da presidente eletto, con due gesti simbolici, Rohani ha reso omaggio alla memoria dell’ayatollah Khomeini e ha fatto visita alla Guida suprema Ali Khamenei. Rohani proviene da una famiglia di bazarini ed ha studiato teologia a Qom. Sottoposto a controlli dei servizi segreti dello Shah, fu costretto a lasciare il paese insieme all’ayatollah Khomeini. Il mullah raggiunse Parigi da dove rientrò trionfante a Tehran nel 1979. E il grande sconfitto Ahmadinejad? Dovrà comparire in tribunale il prossimo 26 novembre, dopo una denuncia del presidente del parlamento, Ali Larijani.