Domani ricomincia il campionato di calcio della Repubblica islamica, interrotto in questi giorni di giorni di lutto nazionale per l’assassinio del generale Qassem Soleimani. Con le tifoserie negli stadi, gli ayatollah sperano di tornare alla normalità. Ma la situazione resta tesa per molteplici motivi: la gravissima crisi economica motivata da quarant’anni di sanzioni, l’assassinio di Qassem Soleimani nell’aeroporto di Baghdad con un drone per volere del presidente degli Stati uniti Donald Trump, e l’abbattimento del Boeing 737 delle linee aeree ucraine con 176 persone a bordo per un errore dei pasdaran.

La responsabilità delle Guardie rivoluzionarie è stata svelata da un video mandato a un giornalista iraniano residente a Londra e messo on-line. Ora, la magistratura di Teheran dichiara di aver arrestato colui che avrebbe filmato l’abbattimento del velivolo con 173 persone a bordo: è accusato di aver messo a rischio la sicurezza nazionale ma dalla capitale britannica il giornalista dichiara che la sua fonte è al sicuro, sarebbe stata arrestata la persona sbagliata.

LA SITUAZIONE RESTA TESA anche nel resto del Medio Oriente e il calcio ne è il barometro: la nazionale statunitense ha annullato gli allenamenti previsti a Doha e lo stesso ha fatto il Manchester United, la cui presenza era prevista in Qatar. La regione è pericolosa per i calciatori e anche per i militari occidentali. A farlo notare è il presidente iraniano Hassan Rohani. Parlando alla tv di stato si è rivolto ai soldati stranieri dicendo: «In Medio Oriente siete in pericolo. Andatevene! Oggi a rischio è un soldato americano, domani lo sarà un soldato europeo».

È un dato di fatto, soprattutto perché la morte di Soleimani rafforza l’Isis e gli altri movimenti jihadisti in Iraq. Ma suona come una minaccia perché segue la decisione degli E3 (Gran Bretagna, Francia e Germania) di innescare il meccanismo di risoluzione delle dispute sul nucleare. La decisione degli E3, resa nota in un momento di altissima tensione, è la goccia che fa traboccare il vaso: gli iraniani sono esasperati dai due pesi e due misure di Bruxelles: pretende il pieno rispetto dell’accordo nucleare da parte di Teheran ma non lo rispetta e non lo fa rispettare agli Stati uniti. Di un nuovo accordo soprannominato il Trump deal in sostituzione al JCPOA firmato a Vienna il 14 luglio 2015, Rohani non ne vuole sapere: un’offerta bizzarra, ayatollah e pasdaran non stringono la mano a uomini come Trump che vengono meno alle promesse. In ogni caso, ha ribadito il presidente moderato facendo riferimento al numero di centrifughe e ai limiti all’arricchimento dell’uranio, «tutti i passi dell’Iran sono reversibili».

SE ROHANI HA PARLATO con toni decisi rivolgendosi ai paesi europei un motivo c’è: hanno sottoscritto l’accordo nucleare del 2015 ma, quando Trump non lo ha rispettato e nel 2018 aveva imposto due nuovi round di sanzioni, hanno smesso di acquistare petrolio iraniano e ritirato le loro imprese dalla Repubblica islamica. Anche il ministro degli Esteri Zarif non ha usato mezzi termini: «L’Ue è l’economia globale più grande, perché permettere agli Stati uniti di fare i bulli?». In merito all’incidente aereo di mercoledì scorso, il capo della diplomazia di Teheran ha ribadito che «non ci sarebbe stato se Trump non avesse dato ordine di uccidere Soleimani innescando la crisi».

Esprimendosi su questioni interne, Rohani ha sottolineato l’esigenza di unità nazionale e chiesto alle forze armate «scuse rivolte al popolo, devono rivelare tutto quello che è accaduto con l’aereo ucraino» perché «il popolo vuole essere sicuro che le autorità lo trattino con onestà, integrità e fiducia». Dopotutto, venerdì 21 febbraio gli iraniani andranno alle urne per eleggere la prossima legislatura: devono poter credere che il loro voto serva a qualcosa, solo un’alta affluenza ai seggi garantisce la necessaria legittimità della Repubblica islamica.