Il comando dei vigili del fuoco sostiene che domenica sera non è stato un incendio doloso a danneggiare la sede di B’Tselem., il centro israeliano che dalla prima Intifada riferisce le violazioni dei diritti umani compiute dall’esercito e dai coloni nei Territori palestinesi occupati. Le fiamme sarebbero state sprigionate dall’impianto elettrico difettoso. Questa versione dell’accaduto, che sembra escludere un attentato degli ultranazionalisti, non è bastata a spegnere le preoccupazioni generate dalla campagna scatenata dalla destra israeliana contro B’Tselem ed altre Ong e associazioni di sinistra accusate di «tradimento» e di «lavorare per i palestinesi e forze straniere». Da alcuni giorni il centro B’Tselem è oggetto di un attacco durissimo della destra estrema e di quella che fa riferimento ai partiti di governo. E’ lo stesso attacco scatenato qualche settimana fa contro Breaking the Silence, la Ong dei soldati che rompono il silenzio su crimini di guerra nei Territori occupati e abusi a danno dei palestinesi.

 

Gli ultimi giorni sono stati un inferno per B’Tselem, accusato dai coloni e dalla destra di avere tra i suoi collaboratori un attivista palestinese nella zona a sud di Hebron che avrebbe denunciato all’Anp un altro palestinese impegnato a vendere terreni ai coloni israeliani in Cisgiordania (attività vietata dal codice palestinese, il reato prevede fino alla pena di morte). La vicenda è stata raccontata dal noto programma televisivo “Uvda” che, replicano quelli di B’Tselem, non ha svolto alcuna indagine e si è limitato a mandare in onda dichiarazioni e immagini registrate di nascosto da nazionalisti di “Giovani per Israele”. Alcune settimane fa un’ altra organizzazione di estrema destra, “Im Tirtzu”, aveva accusato il direttore di B’Tselem, Hagai Elad, di essere un agente di forze straniere.

«Il governo deve fermare subito la sua istigazione contro la sinistra», ha esortato ieri Yariv Oppenheimer di Peace Now sulla sua pagina Facebook. Proteste anche dal leader della Lista Unita Araba, Ayman Odeh, che ha addossato al governo la responsabilità degli attacchi contro le Ong e i centri che tutelano i diritti umani. Il governo Netanyahu da parte sua continua a puntare l’indice contro le organizzazioni non allineate alla sua politica e si prepara a paralizzarle con una nuova legge che colpirà i finanziamenti dall’estero. Una iniziativa criticata anche dall’ambasciatore degli Stati Uniti a Tel Aviv, Dan Shapiro, che due giorni fa, riferisce il quotidiano Haaretz, ha espresso alla ministra israeliana della giustizia Ayelet Shaqed la “preoccupazione” di Washington per la legge che rischia di limitare le attività delle Ong. La nuova legge (approvata in via preliminare da una commissione ministeriale e ora discussa in Parlamento) prevede, tra i vari punti, che i rappresentanti delle Ong alla Knesset debbano mostrare un distintivo particolare in modo da essere subito identificate dai deputati.

 

Intanto uno dei casi denunciati anche dalle Ong della sinistra israeliana, quello dell’arresto del giornalista palestinese Mohammed al Qiq, rischia di trasformarsi in una tragedia. Al Qiq, corrispondente di Majd TV, detenuto in Israele dallo scorso 21 novembre, fa lo sciopero della fame ormai da 46 giorni per protestare contro la sua “detenzione amministrativa”, ossia il carcere senza processo per almeno sei mesi. Al Qiq è molto debole, non è più in grado di camminare e comunica solo a gesti. Nonostante ciò le manette lo tengono bloccato al letto del Centro Medico Emek di Afula in cui è già confinato dalle conseguenze del lungo digiuno. Forse sarà alimentato con la forza, in base a una legge approvata l’anno scorso dalla Knesset per i detenuti politici palestinesi che fanno lo sciopero della fame, sebbene l’associazione dei medici israeliani si sia dichiarata contro questa forma di coercizione. Lo Shin Bet, il servizio di sicurezza israeliano, accusa il giornalista di far parte di Hamas e di cooperare ad atti di terrorismo. Non si capisce, con accuse così gravi, come mai al Qiq sia stato posto solo agli “arresti amministrativi” e non sia stato processato. Questo tipo di detenzione preventiva rivela piuttosto che lo Shin Bet non ha nulla di concreto contro il reporter palestinese.