Roger Corman è stato definito il più anziano ribelle all’establishment di Hollywood, è lui stesso che ricorda con voce bassa, un sorriso pacato e un pizzico d’orgoglio questa definizione. Tutta vera. Roger ha 90 anni compiuti, eppure gira ancora per il mondo per ricevere premi, come succede qui a Locarno. Era capitato anche a Los Angeles sei anni fa quando gli venne, finalmente, assegnato un Oscar alla carriera «sono rimasto sorpreso e felice, circondato dall’affetto di tanti amici, non me l’aspettavo».

Gli amici sono l’esercito di attori e registi che Roger ha scovato e fatto debuttare (Nicholson, Demme, Coppola, Scorsese, Bogdanovich, Dante, Howard, Cameron e la lista sarebbe colossale) perché «io riconosco il talento, quando punti su certe persone lo fai perché sai che hanno talento, e sapevo che avrebbero avuto successo, solo che non potevo conoscere le dimensioni di quel successo». Lui, ingegnere, assunto come fattorino alla Fox, sguardo vivace, comincia e scribacchiare sceneggiature, poi a svolgere il ruolo di produttore e nel giro di un paio d’anni gli affidano anche la regia.

Roger è una macchina da guerra, film a basso costo, b movies, in 50 anni ne dirige 59. «Mi capitava di girare un film di giorno, di fare il casting di quello successivo nella pausa pranzo, e di montare il precedente la notte, a un certo punto mi dissi che dovevo cercare di dormire in fretta».

In realtà decise di dedicarsi alla produzione «è pesante alzarsi alle sei del mattino, ma se fai il regista ti tocca». Ma mica si accontenta, decide di fare anche il distributore, negli Stati Uniti conoscono Fellini, Bergman, Truffaut e Kurosawa, perché lui principe del cinema commerciale è stato il paladino di quel cinema. Solo un paio di volte rimane deluso. La prima è per L’odio esplode a Dallas (The Intruder) suo unico tentativo di fare un film che avesse un esplicito riferimento sociale affrontando il tema della segregazione razziale l’anno dopo che era stata abolita per legge, ma non nelle persone. Recensioni entusiaste ma flop al botteghino (poi stemperato nel corso dei decenni con tv, dvd, streaming perché «il cinema è cambiato e non si può fare niente per tornare indietro»). L’altro è non avere prodotto Easy Rider che due suoi «ragazzi», Peter Fonda e Dennis Hopper «avevano scritto ispirandosi a due miei film di successo sulla controcultura I selvaggi e Il serpente di fuoco. I due vennero da me per la produzione esecutiva e io trattai con l’American International Pictures, tutto pronto i due scrivevano e interpretavano, con Bruce Dern nel ruolo dell’avvocato, Peter produceva e Dennis dirigeva, ma all’ultimo momento un dirigente Aip aggiunse una clausola: se Dennis avesse ritardato gli avrebbero tolto il film. Inaccettabile, così con Jack Nicholson intermediario andarono dalla Columbia che accettò. Dern fuori Nicholson dentro, il resto è storia».

Roger ha capito che il suo cinema era al tramonto con Lo squalo di Spielberg, «dissero che era un Corman con budget alto, ma era anche un gran film. Poi venne Guerre stellari, se anche le major facevano questi film non c’era più spazio». Eppure non è contro i grandi budget «ma si devono vedere sullo schermo, non nei salari».