Lo scontro violento in atto nel Pd, un’escalation condita con insulti deprimenti, esplode nel momento politico più delicato e importante, decisivo per capire che fine farà la legislatura appena iniziata. La natura irrisolta di quel partito, mascherata per un anno dietro lo schermo del governo Monti, emerge con la virulenza di un’eruzione fuori controllo. Chiusa la esiziale parentesi dei “tecnici”, pagato nell’urna il caro prezzo di un’accanimento economico contro la parte più debole della società, nel Pd va in scena l’attacco di alcuni dirigenti all’ammaccato quartier generale. Una sorta di guerra delle correnti di democristiana memoria, con gli italiani che stanno a guardare sentendo crescere un risentimento già a livelli di guardia mentre ci si aspetterebbe di capire quale presidente della repubblica e quale governo si intende proporre per salvare il paese dal precipizio.

Il candidato uscito sconfitto dalle primarie, ogni giorno, nuovo beniamino di giornali e tv, dà lezioni di politica e di moralità, mentre i vecchi leader rottamati si riciclano come rottamatori. Con l’unico risultato di ridare fiato a un berlusconismo uscito dal voto di febbraio con un storica emorragia di consensi e ora di nuovo aggressivo grazie anche alla funesta (per la sinistra) spinta alle larghe intese, che acuisce le divisioni nel Pd, allarga la diaspora in quel che resta della sinistra italiana e, di conseguenza, aggrava la crisi del paese.

Come uscirne dipende anche da quale capo dello stato noi avremo per i prossimi sette anni, perché chi avrà le chiavi del Quirinale (oltre che di palazzo Chigi) potrà influire sulla rotta di Bruxelles e Francoforte. Di quale europeismo si farà portavoce, di quale idea di democrazia sarà protagonista, di quali valori costituzionali vorrà essere custode, di quali diritti civili sarà il difensore, di quale pace nel mondo si farà bandiera: domande retoriche se a interpretare l’unità nazionale fosse chiamato uno come Stefano Rodotà, risultato il più votato nelle preferenze espresse dai nostri più assidui collaboratori.

Noi abbiamo dedicato a Rodotà la copertina del nostro giornale motivando con la sua biografia la nostra scelta, proprio nel giorno in cui una petizione di cittadini chiedeva ai grandi elettori di indicare il suo nome sulla scheda. Naturalmente Rodotà non compare nella lista dei papabili del Pd, mentre trova consenso in una vasta area della sinistra e il suo nome è comparso (insieme a quello di Romano Prodi) tra i candidati delle consultazioni del Movimento 5 stelle (avranno pure preso voti a destra, ma per la presidenza della repubblica scelgono tutte personalità di area democratica e di sinistra). E dunque speriamo che ripeterlo sia di qualche utilità: se davvero Bersani volesse rispettare la richiesta di cambiamento venuta dal voto, già oggi potrebbe dimostralo.