L’ego delle rockstar è l’ingrediente segreto che crea l’alchimia della grande musica. Ma è anche la scintilla che fa esplodere durissimi contrasti all’interno delle rock band che portano non solo a litigi violenti, ma anche a lunghissime e costosissime lotte legali. I compagni che hanno condiviso tante avventure musicali e tanti tour, possono improvvisamente per divergenze creative o personali, trovasi l’uno di fronte all’altro in tribunale per contendersi il nome del gruppo e lottare per spartirsi un’eredità artistica. E chi pensa che i divi siano pieni di soldi, dovrebbe vedere le dichiarazioni dei redditi dei loro avvocati.

THE PLATTERS

Agli inizi dell’era pop-rock alcuni gruppi erano formazioni di artisti assemblate per cantare canzoni scritte su misura per un mercato giovanile che si stava espandendo sempre di più. Uno di questi ensemble erano i Platters che nel periodo 1955-1967 riuscirono a piazzare nelle classifiche di vendita più di 40 singoli, tra cui i brani classici Only You e The great pretender. La line-up ebbe innumerevoli cambi di organico, ma la voce più riconosciuta era quella di Tony Williams, mentre il vero leader era il produttore e autore musicale Buck Ram, uno dei protagonisti della scena discografica di quegli anni. Le lotte legali iniziarono proprio quando, nel 1960, Williams decise di lasciare il gruppo per diventare solista e la casa discografica, la Mercury, si rifiutò di pubblicare altro materiale senza di lui, suscitando le ire di Ram che ricorse ai tribunali. Da quel momento la storia dei Platters è caratterizzata da miriadi di dispute giudiziarie e da una infinita serie di formazioni cloni che si sono contese il nome. Nel corso dei decenni si è arrivati ad avere almeno una decina di Platters diversi, dai Buck Ram Platters (guidati dal produttore), agli Original Platters fino a The International Platters in cui ritornò a militare Williams. Insomma chi ci capisce è bravo. Pare che a tutt’oggi ci siano ancora in giro per il mondo 4 Platters diversi, a dispetto del fatto che Ram e Williams siano morti da più di vent’anni e l’ultimo membro originario, Herb Reed, sia scomparso a 83 anni nel luglio del 2012. Un destino simile ha riguardato anche altre band di quell’epoca come i Drifters di Under the Boardwalk.

THE BEATLES

I Fab Four sono stati leggendari da tutti i punti di vista, ma la loro fine non fu esattamente idilliaca. Il 31 dicembre del 1970 Paul McCartney decretò ufficialmente la fine del gruppo portando in tribunale i suoi compagni e la compagnia che lui stesso aveva fondato, la Apple Corps. I due anni precedenti erano stati per la band un alternarsi di litigi e riconciliazioni. Ma quando Paul pubblicò il suo primo disco solista nell’aprile del 1970, diffuse un comunicato in cui annunciava che era fuori dal gruppo. McCartney scelse poi anche la via dei tribunali, ma non tanto contro Lennon, Starr e Harrison, ma contro l’ingombrante manager Allan Klein, scelto contro la sua volontà nel 1969 per rappresentare la band. Klein era un agente spregiudicato e senza scrupoli. Si era guadagnato la fama negli anni ’60 per essere stato in grado di far ottenere i contratti migliori ai musicisti e faceva le pulci alle case discografiche imponendo riconteggi delle royalties a favore dei propri clienti. Alla metà degli anni ’60 iniziò a lavorare con i Rolling Stones con cui negoziò un nuovo lucroso contratto. Paul non si fidava per niente di lui, avrebbe preferito che gli affari della band venissero gestiti da suo suocero, l’avvocato John Eastman. Gli altri tre, temendo un trattamento preferenziale, andarono avanti con la decisione di incaricare Klein. McCartney decise quindi di andare fino in fondo chiedendo i conti aggiornati della Apple Corps, accusando Klein di mala gestione e ritenendo che, non dovendo suonare più insieme, il marchio Beatles andasse sciolto. Nel gennaio del 1975 i tribunali misero fine ufficialmente alla storia dei Fab Four. Macca ci aveva visto giusto: Klein era non certo un manager fedele, aveva infatti truffato gli Stones diventando titolare all’insaputa di tutti dei diritti d’autore di parte del loro catalogo degli anni ’60, si intascò alcuni dei proventi del celebre concerto benefico per il Bangladesh organizzato da George Harrison e nel 1979 fu anche condannato a due mesi di carcere per evasione fiscale. Anche gli altri Beatles finirono successivamente per fagli causa. McCartney ha ricordato così in una recente intervista quella dolorosa disputa legale: «Fu un incubo. Non li odiavo, ma in qualche modo dovevo salvare il marchio dei Beatles perché gli altri tre rischiavano di buttare tutto nel cesso. Dissi agli avvocati: ‘Voglio far causa a Allen Klein’. Mi dissero che non era possibile, perché lui non faceva parte del contratto alla base del gruppo e che potevo solo far causa agli altri tre. Ci pensai per quattro mesi, la cosa mi fece impazzire. Ma alla fine l’ho fatto. E la storia mi ha dato ragione».

PINK FLOYD

Roger Waters decise di lasciare i Pink Floyd nel 1985. La registrazione del controverso album The Final Cut aveva ormai danneggiato irrimediabilmente i rapporti all’interno della band. Waters, che considerava il gruppo ormai una creatura al servizio dei suoi progetti artistici, aveva dato il benservito al tastierista Richard Wright ed era ai ferri corti con Dave Gilmour, che non apprezzava né il suo atteggiamento dittatoriale né le sue ossessioni. Il leader, con il suo addio, avrebbe voluto scrivere la parola fine alla carriera del gruppo. Gilmour si oppose, Waters, come narrano le biografie, lo minacciò dicendogli You never fuckin’ do it!. Ne nacque una lunga battaglia legale. Intanto nel 1987 il marchio Pink Floyd era tornato sull’album ‘A Momentary Lapse of Reason’ creatura artistica frutto soprattutto del lavoro di Dave Gilmour che deluse forse i fan storici, ma ebbe un grande successo di vendite. Waters era livido. Definì il gruppo ‘una truffa’ e stroncò il disco giudicandolo una raccolta di canzoni ‘povere’ con testi ‘di terza classe’. Arrivò anche a tentare di impedire il tuor americano della band, minacciando cause ai promoter e diffidando gli ex compari dall’uso durante i concerti del maiale volante, un simbolo della band che lui aveva ideato. Alla fine la contesa legale arrivò a un accordo che prevedeva che Gilmour e il batterista Nick Mason potevano proseguire a usare il nome del gruppo. Waters manteneva i diritti su ‘The Wall’. Wright per ragioni legali rimase un membro-ombra. Ma anche senza il padre padrone, i Pink Floyd conservarono un grandioso successo e riuscirono a tenere in vita la loro leggenda. Il tempo e l’età hanno reso via via la loro rivalità sempre più insignificante. Il 2 luglio 2005 Waters, Gilmour, Mason e Wright ritornarono ad esibirsi insieme per la prima volta in 24 anni a Londra al concerto benefico Live 8 presso Hyde Park. Wright è scomparso nel 2008. In un’intervista dello scorso settembre Waters, oggi settantenne, si è detto pentito della dolorosa e rancorosa battaglia legale. Ha dichiarato: «Loro sbagliarono, ma sbagliai anche io. Ma ormai a chi importa? Alla fine ho dovuto imparare una lezione di diritto. Quando andai da loro e dissi ‘Siamo sciolti. I Pink Floyd non esistono più’. Loro mi dissero ‘Che cosa dici? Non è possibile farlo. E’ un marchio, ha un valore commerciale. Non può finire di esistere’. La legge gli ha dato ragione e la legge è tutto quello che abbiamo. E’ questo di cui parla The Wall».

THE DOORS

Il mito dei Doors è cresciuto negli anni. Per molti aspetti Jim Morrison è stato una rockstar più da morto che da vivo. Nel 1981 fece scalpore la copertina di Rolling Stone che lo consacrò come il divo del momento: E’ hot, è sexy ed è morto!. Questa fama postuma è stata fonte di numerose dispute legali circa la proprietà del marchio della band tra i tre membri supersiti, il tastierista Ray Manzarek (fondatore della formazione), il batterista John Densmore e il chitarrista Robby Krieger. Nel 1970, con Jim ancora vivo, la band siglò un contratto che prevedeva che ogni accordo d’affari fosse approvato unanimemente da tutti. La band già allora aveva sperimento le prime liti interne, infatti la canzone Light My Fire era diventata la colonna sonora di uno spot della casa automobilistica Buick, senza che Morrison avesse dato l’ok. Dopo la morte di Jim, l’accordo sull’unanimità rimase in vigore diventando periodico terreno di scontro. I Doors sono tornati insieme in varie incarnazioni a più riprese e tra mille polemiche. Il verdetto più recente del tribunale è datato 2008 quando Manzarek e Krieger furono ritenuti colpevoli di aver usato senza autorizzazione il nome Doors per la reunion del 2003. Ai tempi i due andarono in tour con una nuova band. Alla voce c’era il cantante dei Cult Ian Astbury alle prese con un’imitazione parecchio riuscita del grande Jim. «Non potete chiamarvi Doors perché non possono esserci i Doors senza Jim Morrison» fu l’argomentazione di Densmore che si era escluso dal revival. Alla fine si trattava di una questione di soldi. I concerti erano andati molto bene incassando più di 8 milioni di dollari. Il conto stabilito dal giudice fu salato, dapprima venne proibito l’utilizzo del nome senza permesso a Manzarek e Krieger che furono di seguito condannati a sborsare 5 milioni di dollari in spese legali e risarcimenti da erogare a Desnmore e ai genitori di Morrison e ai genitori di sua moglie Pamela Courson (scomparsa tre anni dopo Jim, nel ‘74). Manzarek e Krieger continuarono comunque ad esibirsi con il nome di Riders on the Storm. Il batterista Densmore è sempre stato il bastian contrario del gruppo. Nel 2001 pose il veto sull’uso di Light My Fire in uno sport della General Motors, nonostante i 15 milioni di dollari messi sul tavolo dalla casa di automobili. Disse anche di no all’utilizzo del marchio dei Doors alla Apple per il lancio dell’ iPod. Le polemiche oggi non hanno più senso dopo la morte anche di Ray Manzarek, scomparso per un tumore nel maggio del 2013.

TALKING HEADS

Le teste parlanti, protagonisti della scena new-wave americana, annunciarono ufficialmente la propria fine nel dicembre del 1991. La scelta di farla finita apparteneva in gran parte al leader David Byrne, ormai orientato verso altri progetti musicali. Qualche anno dopo però il resto della band (Tina Weymouth, Chris Frantz e Jerry Harrison) cercò di riproporre il marchio Talking Heads, ricevendo però una denuncia da parte di Byrne. I reduci decisero quindi di giocare sul nome e si chiamarono The Heads e intitolarono il loro disco di esordio No Talking, Just Head e reclutando come cantanti un gruppo variopinto di guest star tra cui Debbie Harry, Andy Partridge degli XTC, Gordon Gano dei Violent Femmes, Ed Kowalczyk dei Live e Michael Hutchence degli INXS. «Ho pensato – ha spiegato Byrne – che fra qualche tempo ci sarebbero forse stati tutta una serie di dischi con il nome Talking Heads e la gente si sarebbe confusa su quali dischi fossero quelli autentici e quali no. Anche se gli altri possono pensarla diversamente, il loro è solo un tentativo per incassare sul nome dei Talking Heads, ma stanno facendo qualcosa di nuovo. Non è solo il gruppo senza il cantante, è qualcosa di diverso e deve avere un nome diverso». Difficile dare torto a David. La formazione da allora si è esibita insieme per un’ultima volta. Il 18 marzo 2002 quando i Talking Heads divennero parte della Rock and Roll Hall of Fame. Ma non ci fu un ritorno di fiamma. «Una reunion? E’ scorso troppo sangue – disse David Byrne -. E poi ora siamo musicalmente troppo distanti». «David è un uomo incapace di contraccambiare un’amicizia- replicò Tina Weymouth – e non ha nessun amore né per me né per Frantz e Harrison». Teste parlanti davvero.

BLACK FLAG

Molte band hardcore punk che negli anni ’80 facevano fatica a sopravvivere, si sono trovate più di vent’anni dopo a essere ormai punti di riferimento per un’intera nuova generazione di giovani gruppi e di appassionati di musica. Questo ha dato luogo a una serie infinita di lucrosi reunion tour che hanno il sapore di revival. Tra queste band non potevano mancare i Black Flag. Scioltisi ufficialmente nel 1986, in termini non molto amichevoli, erano sempre stati una band dalla line-up fluida che girava attorno al membro fondatore, il chitarrista Gregg Ginn. Nel 2013 Ginn ha pensato di riportare sulle scene il marchio della bandiera nera, ma si è trovato di fronte un’altra reunion formata da membri che a vario titolo avevano militato in passato nella band (Keith Morris, Chuck Dukowski, Dez Cadena, Bill Stevenson). Ginn si è allora premurato di contattare gli avvocati che hanno fatto causa ai rivali e, già che c’erano, all’ex-frontman Henry Rollins, cantante che tutti ancora oggi identificano con il gruppo, ma ormai lontano dalla musica. La causa è ancora in corso, ma quest’estate erano in tour contemporaneamente i Black Flag di Gregg Ginn, che aveva ripescato uno dei primi cantanti della band Ron Reyes, e i suoi concorrenti, guidati da Keith Morris, con il nome Flag. Ginn, noto per non essere certo un personaggio accomodante, ha ben pensato anche di pubblicare un disco di canzoni nuove intitolato What The… sonoramente stroncato da tutti. Non contento ha licenziato a novembre Ron Reyes cercando un nuovo cantante. Rollins ha espresso il suo giudizio caustico su queste reunion: «Ci sono gruppi che erano scomparsi da anni che si sono rimessi insieme e vanno sul palco a suonare vintage music. Sembrano in una missione proustiana di ricerca del tempo perduto. Leggo nelle loro interviste che pensano oggi di essere davvero in grado di suonare quella musica. Ma questo è il problema per quanto mi riguarda. I musicisti non dovrebbero suonare la musica. E’ la musica che suona i musicisti». Nella loro storia 20 persone si sono alternate nei Black Flag, questo lascerebbe lo spazio ad almeno altre due reunion.

DEAD KENNEDYS

Chi volesse approfondire la storia del punk americano deve forse fare un giro nei tribunali. Qui sono finiti anche i Dead Kennedys, eroi della scena californiana anni’80. La loro prima e originaria incarnazione si sciolse nel 1986, dopo otto anni di battaglie politiche e dischi al fulmicotone. Circa dieci anni dopo la loro fine, tre dei membri originari (East Bay Ray, Klaus Flouride e D. H. Peligro) si accorsero che la loro etichetta, la Alternative Tentacles, li teneva a secco delle royalties e dei diritti di vendita a beneficio del leader della band Jello Biafra, che era anche il padrone della casa discografica. Il passo successivo fu la denuncia. Biafra ebbe la peggio e venne condannato per frode e fu costretto a pagare ai suoi ex-compagni più di 200mila dollari. Secondo la corte era discutibile anche il fatto che il cantante avesse firmato tutti i brani della band e riconobbe anche agli altri musicisti i diritti d’autore e i diritti sui vecchi album della formazione. La disfatta di Biafra fu completa. Nel 2001, i tre musicisti usciti vittoriosi dal processo decisero così di rimettere insieme il gruppo e chiesero a Jello di sotterrare l’ascia di guerra e di rimettersi insieme. Biafra li mandò a quel paese definendoli la più avida karaoke band del mondo, invitando i vecchi fan a boicottarli e a non comprare più le ristampe dei dischi dei DK. Ha dedicato loro anche una canzone “Those Dumb Punk Kids (Will Buy Anything)” (quegli stupidi ragazzi punk comprerebbero di tutto). I tre superstiti, nonostante gli attacchi del loro ex leader, hanno continuato a esibirsi in festival in giro per il mondo alternando alla voce diversi cantanti.

QUEENSRŸCHE

A cavallo tra gli anni ’80 i Queensrÿche sono stati per un decennio una delle band più rispettate della scena hard rock e metal. Negli anni ’90 dopo l’esplosione del grunge si trovarono improvvisamente con un pubblico ridotto e senza casa discografica. Il loro principale motore artistico, il chitarrista Chris De Garmo, decise di lasciare la band e la musica (oggi è pilota di aerei). La band ha proseguito con qualche alto e molti bassi sotto la guida del cantante Geoff Tate. Nell’aprile 2012 nella band scoppiò la guerra. I musicisti del gruppo (il chitarrista Michael Wilton, il bassista Eddie Jackson, il batterista Scott Rockenfield e il secondo chitarrista Parker Lundgren) decisero di organizzare un vero e proprio golpe contro Tate accusato di gestire l’intera band come un solista. Il leader aveva infatti piazzato la moglie Susan nel ruolo di manager e la figliastra Miranda alla guida del fan club. I compagni decisero di liberarsi dal nepotismo di Tate cacciando le due donne. Il cantante non la prese bene. Aggredì Winton e Rockenfield tirando loro addosso anche una batteria. Il tour della band venne cancellato e il gruppo annunciò di aver dato il benservito al frontman. Tate dal canto suo non accettò la decisione e sporse denuncia in un tribunale di Seattle ritenendo ingiustificato il suo licenziamento e proclamandosi l’effettivo titolare del marchio Queensrÿche. La prima decisione del tribunale fu salomonica. In attesa di un verdetto, entrambi i contendenti avevano diritto all’uso del nome della formazione. Da quel momento esistono due Queensÿche. Geoff Tate guida una band in cui compare solo un ex membro della band, Kelly Gray, che aveva militato brevemente nel gruppo. Gli altri, sotto la guida di Wilton, hanno reclutato un nuovo cantante, Todd La Torre (sosia vocale del loro vecchio compare). Le due band dallo stesso nome nel 2013 hanno pubblicato entrambe un album e sono andate entrambe in tour creando non pochi grattacapi ai fan. I Queensÿche -Tate hanno dato alle stampe Frequency Unknown dove le iniziali F.U. stanno per un Fuck You rivolto agli ex-amici. I Queensÿche – La Torre hanno pubblicato un disco omonimo. La battaglia del pubblico e dei critici l’hanno vinta, per ora, questi ultimi, ricevendo ottime recensioni e conservandosi la maggior fetta dei fan sopravvissuti alle loro liti. Ora spetterà al giudice scegliere il vero vincitore.