«Un mese di vacanza va bene, anche uno e mezzo può andare – ha detto il ministro del lavoro Giuliano Poletti in un’iniziativa a Firenze – Ma non c’è un obbligo di farne tre, senza fare nulla. Magari un mese potrebbe essere passato a fare formazione» ha detto Poletti. «I miei figli d’estate sono sempre andati per un mese al magazzino generale a spostare le casse della frutta. Sono venuti su normali, non sono ragazzi straordinari o speciali» ha aggiunto. E poi, tra gli applausi, ha concluso: «Non troverei niente di strano se un ragazzo lavorasse tre o quattro ore al giorno per un periodo preciso durante l’estate, anziché stare solo in giro per le strade». Ignaro del fatto che, in molti casi, i ragazzi italiani già lavorano d’estate, tra stage, in nero, o precariamente, Poletti ha confuso la formazione con lo sfruttamento e l’istruzione con l’addestramento al facchinaggio e al lavoro precario. Quello stabilito dall’accordo sindacale del 23 luglio per i 18500 volontari-lavoratori gratis all’Expo. Oppure nei decreti attuativi del suo Jobs Act sulla riforma dell’apprendistato che dequalifica l’alternanza scuola-lavoro e i percorsi formativi in obbligo di istruzione.

Questa visione paternalista intende imporre un apprendistato per i quindicenni che non proseguono gli studi. Il Jobs Act prevede un terzo dell’orario di lavoro sotto-retribuito, 500 ore di formazione professionale e altrettante in aziende di cui non viene verificata la capacità formativa effettiva. «Si continua sulla strada perdente di uno sviluppo basato sulla riduzione dei costi e dei diritti – sostiene Gianna Fracassi (Cgil) – Scelte che dovrebbero preoccupare molto più delle vacanze scolastiche». L’uscita di ieri a favore di un Mini-JobsAct estivo, con un contratto a tutele inesistenti, è ispirata ad una visione autoritaria, padronale e populista della società. Le parole di Poletti richiamano quelle di Elsa Fornero sui giovani «choosy», schizzinosi; del suo viceministro Martone («Sono sfigati»); dell’ex ministro dell’Istruzione Profumo: «I fuori corso all’università sono «costi sociali». «Mai più un laureato che arriva a 25 anni senza aver mai avuto un’esperienza come cameriere o assistente in libreria» (Maria Chiara Carrozza). Stigmatizzare, e dare la caccia a presunti «lazzaroni» sono i compiti morali che si sono dati i governi dell’austerità dal 2008 a oggi. Mettere al lavoro (precario) i giovani più precari della storia d’Italia nei mercati generali o, perché no, alle Coop, sembra essere un obbligo per i ceti dominanti. Soprattutto quando il lavoro non c’è. E se esiste, è povero. Il ministro dell’Istruzione Giannini ha assicurato che nel Ddl sulla «Buona Scuola» è previsto «che attività di stage si possano fare nei periodi di sospensione dell’attività didattica, estate inclusa».

Scaricare cassette di frutta tutto l’anno, non solo in estate. E sottopagate, forse anche gratis. Un progetto «formativo» che ha fatto sobbalzare il sottosegretario all’Istruzione Faraone, notoriamente un libertario: «Non dobbiamo correre il rischio di formare automi, più che cittadini». L’intenzione di Poletti di «educare» gli adolescenti ad essere manodopera a basso costo è stata respinta con disgusto. «Parole deliranti» ha detto Alberto Irone della Rete degli studenti. Sono «allucinanti» per Danilo Lampis (Uds).