Fino a quando non venne pubblicato nel 1998 Revolution of Forms di John Loomis nessuno poteva mai immaginare che la storia dell’architettura cubana della rivoluzione si sarebbe incontrata con quella di due architetti italiani, Vittorio Garatti e Roberto Gottardi, i quali, chiamati dal loro collega cubano Ricardo Porro, insieme svolsero l’incarico di trasformare l’esclusivo Country Club di l’Avana in uno dei centri culturali più importanti del Latinoamerica: la Escuela Nacionales de Arte (ENA), un insieme di cinque scuole per il teatro, il balletto, la musica, l’arte plastica e la danza moderna. Dopo la scomparsa di Porro a Parigi nel 2004, ieri ci ha lasciato Gottardi.

CON I SUOI AMICI Vittorio e Ricardo, ancora nel 1999 volle scommettere di completare le parti mancanti della Escuela, per una seconda volta chiamato con gli altri, come nel lontano 1961, da Fidel Castro per un’opera che solo grazie a un architetto e docente statunitense è stata possibile restituire, dopo una lunga disattenzione, alla storia dell’architettura. Purtroppo come allora la mancanza di risorse economiche non ha permesso a Gottardi di vedere completata in tutte le sue parti la Escuela nonostante l’impegno del World Monument Found che l’aveva peraltro inserita nei cento monumenti del mondo da salvare, e le promesse di contribuire al finanziamento dell’intervento dell’amministrazione Bush e poi di alcuni governi europei, tra i quali il nostro all’epoca di Berlusconi. In questo momento di triste perdita per uno degli architetti più singolari per il suo impegno politico e sociale occorre citare innanzitutto questa che per Gottardi è stata la sua più «grande impresa».

In particolare collegarci agli anni del suo arrivo a Cuba poco più che trentenne dopo essersi laureato nel 1952 all’Istituto Superiore di Architettura di Venezia con Carlo Scarpa, un periodo di tirocinio presso lo studio di Ernesto Nathan Rogers e la sua prima occupazione nel Banco Obrero di Caracas dove si trasferisce nel 1957 e dove incontra i suoi due amici, tutti collaboratori di Carlos Raúl Villanueva: il pioniere dell’architettura moderna venezuelana. Tuttavia è con l’avvento della rivoluzione castrista che Gottardi raggiunge nel 1960 Cuba per partecipare, come egli stesso dichiarerà anni dopo, a «fondare un nuovo paese, con una nuova gente», ricordando con nostalgia lo spirito libero, senza alcuna imposizione, con il quale si lavorava e ci si confrontava nell’isola caraibica per la costruzione di una nuova società.

L’ATMOSFERA di quegli anni è ritratta nella celebre foto di Alberto Korda con Castro e Che Guevara mentre giocano a golf sul campo di quello che i giovani barbudos decideranno dovrà diventare la più importante scuola d’arte dell’America Latina. Gottardi scelse di progettare lo spazio della Scuola di Arti drammatiche impiegando materiali poveri e tecniche semplici come la volta a cupola in mattoni di terracotta che nell’architettura dell’Escuela è l’unità minima, seriale e modulare di segno più elementare ma altrettanto organico, ad esempio, di quelle di Eladio Dieste. Il risultato è un’architettura che scaturisce dalla consapevolezza «che tutto fosse possibile per la mancanza completa di idee preconcette», quelle che vennero meno con l’arrivo dei militari sovietici in seguito all’accordo tra Castro e Krusciov nel 1962.

GOTTARDI non lasciò però mai Cuba a differenza di Porro e Garatti, coniugando dal 1965 l’attività di docente alla Facoltà di Architettura di L’Avana, di scenografo – sue le scene per Girón (1981) e Dédalo (1991) del coreografo Rosario Cárdenas – e di architetto (Ristorante Maravilla, 1968). La «rivoluzione delle forme» di Gottardi rimarrà tra le testimonianze più autentiche nei confronti dell’omologazione globale che interessa l’architettura contemporanea e come un «sogno utopico» può sopravvivere ad ogni forma di dispotismo, oggi come allora.