Nelle scienze umane, nelle arti visive e figurative, nel pensiero politico e estetico, nelle neuroscienze e nel diritto è emersa una riflessione sul corpo. Non più considerato come mero sostrato o funzione biologica, il corpo indica una prassi, un attitudine o un soggetto. Questa idea ritorna anche nell’ultimo libro del filosofo Roberto Esposito Le persone e le cose (Einaudi, pp. 115, euro 10).

Il bel titolo Le persone e le cose è una citazione trasversale de Le parole e le cose di Michel Foucault. In quel libro Foucault ha ricostruito l’archeologia dell’«uomo» in quanto soggetto trascendentale di un sapere di cui è, allo stesso tempo, l’oggetto quotidiano della riflessione linguistica, economica o biologica. La compresenza antinomica di una natura trascendentale (la persona) e una natura oggettiva (la cosa) nello stesso individuo è il tema anche del libro di Esposito. Se Foucault considerava Cartesio, e soprattutto Kant, all’origine di una sintesi che ha cercato di assorbire il corpo e la storia nell’unità dei contrari rappresentata dalla persona, Esposito allarga il campo fino al giurista romano Gaio.

Umani senz’anima

La persona non è un ente naturale che corrisponde al corpo del singolo. È invece un dispositivo che serve per governare i rapporti tra gli uomini e per giustificare le loro gerarchie. La stessa persona non è un’unità, ma è il risultato di una distinzione gerarchica tra l’anima e il corpo. Questo dispositivo ha avuto una gestazione più che millenaria. Nella storia sono stati innumerevoli i tentativi di superarlo. È a questi saperi che Esposito si rivolge affinché oggi sia immaginabile un vero cambiamento delle attuali forme politiche.

Il filosofo napoletano analizza la tradizione filosofico-giuridica greco-romana e mostra come essa sia confluita nella teologia politica cristiana. Questa transizione ha permesso di trasportare la distinzione tra la persona e la cosa, e la necessità di una loro riunificazione, di epoca in epoca. La frattura tra una natura razionale e un’altra mortale è rimasta nella teologia cristiana, dove si afferma la superiorità di un Dio-persona rispetto al mondo degli uomini e delle cose.
Sin dalle origini, questa teologia ha affermato la subordinazione della «cosa» al potere dello spirito. La distinzione è confluita nella sovranità moderna, giustificando tra l’altro l’esistenza della schiavitù – esistono esseri umani «senz’anima» che devono essere dominati – e influisce sulla formazione del razzismo di Stato e delle politiche securitarie sull’immigrazione. Privo di uno status definitivo, il corpo è rimasto il terreno di transito dalla persona alla cosa oppure il punto di contrasto che si oppone a entrambe.

Il corpo è sempre stato un ostacolo nel rapporto tra la cosa e la persona. Questa caratteristica riscuote un interesse crescente nel momento in cui il populismo contemporaneo ha rinnovato l’enfasi sulla persona del capo. Difficilmente però il corpo può essere assimilato alla volontà di un Berlusconi o un Renzi. Questi leader «personali» hanno dimostrato, o dimostreranno, la loro impotenza davanti allo strapotere incorporeo del capitalismo finanziario. In più la loro persona non riesce a contenere tutti i corpi singolari o collettivi o a ricomporre la frattura tra la testa e l’organismo, tra il potere decisionale e l’autorevolezza necessaria per farsi obbedire.

Ciò non toglie che la finanza disincarnata rappresenti un problema per tutti. È proprio questo il rompicapo dei movimenti contemporanei che tuttavia offrono un’alternativa. La loro esistenza ha dimostrato che la tattica e la strategia, la storia di un corpo e il divenire delle sue modalità singolari, sono collocate sullo stesso piano di immanenza. Non occorre un leader, o un partito di massa, per azionarle. Serve invece una forma politica che si affermi dal basso, attivando le differenze e cooperando in vista di un potenziamento reciproco. Una forma che non si è ancora stabilizzata, sebbene milioni di persone la stiano praticando.

La politica a venire

Esposito comprende l’importanza di questa ricerca e parla di un «nuovo soggetto della politica a venire». Tale soggetto si è manifestato nelle insorgenze di Gezi Park a Istanbul, a Occupy Wall Street, nel movimento M15 spagnolo (gli «indignados»). «Il corpo vivente di moltitudini sempre più vaste – scrive Esposito – chiedono alla politica, al diritto e alla filosofia un rinnovamento radicale dei loro lessici». La nozione di «corpo vivente» è interessante. Per Esposito è il risultato di una sintesi tra l’individuale e il collettivo e, in più, non è riducibile alle dicotomie persona/cosa, pubblico/privato, soggetto/oggetto, pensiero/estensione.

Più che soffermarsi sulle contraddizioni di questi movimenti, Esposito indica una tendenza. Estraneo al lessico giuridico-filosofico moderno, ma non ancora approdato a una forma stabile, oggi il corpo mostra un’attitudine diversa rispetto alla disposizione moderna dei poteri e dei contro-poteri. Nell’intervallo in cui viviamo, sospesi tra un non più e un non ancora, questo discorso spiega anche la crisi della politica contemporanea.

Una crisi, sostiene Esposito, dovuta alla difficoltà di gestire il bios (la vita) che costituisce da sempre l’oggetto dell’intervento politico. In una società biopolitica come la nostra – dove la vita, i desideri e i corpi sono elementi fondamentali per governare – il corpo è un elemento perturbante dell’ordine dicotomico sul quale essa è costruita.