Roberto Ammatuna, classe ’52, è sindaco di Pozzallo dal 2017. Vicino al Pd, ma eletto con una lista civica «in attesa di un rinnovamento nel partito». Lo abbiamo intervistato mentre la nave militare spagnola Audaz faceva salire a bordo i 15 naufraghi salvati da Open Arms e destinati al «ricollocamento» in Spagna.

 

Sindaco, ha dichiarato che «una nave militare straniera al largo delle coste siciliane fa impressione». Vista da lì, la politica dei porti chiusi ha funzionato?

La teoria dei porti chiusi non ha funzionato. Per motivi tecnici e umanitari. Anche perché porti chiusi non ce ne sono mai stati e non ce ne possono essere. Il ministero degli Interni ha vietato lo sbarco dei migranti salvati dalle Ong, ma un porto non si può chiudere perché il diritto internazionale lo impedisce. Quindi i porti sono aperti, ma in alcuni casi non si fanno sbarcare i migranti. Tutto questo non è condivisibile.

 

A Pozzallo sono arrivati i naufraghi salvati da Open Arms. Come stanno?

Ne sono stati trasportati 72 sabato e 23 lunedì. Le condizioni sanitarie non sono preoccupanti, ma i sanitari hanno riscontrato evidenti problemi psicologici. A causa delle violenze subite nei campi di concentramento in Libia, diverse ragazze presentano disturbi psicologici seri. In quei campi le persone hanno sofferto pene dell’inferno.

 

Com’è la situazione nell’hotspot di Pozzallo?

Con la politica di Salvini non solo gli appalti per la gestione dell’hotspot ma anche i controlli sulla struttura sono stati centralizzati. Noi abbiamo un buon rapporto con la prefettura, ma non condivido il fatto che i comuni non possano più controllare ciò che accade. Fino a pochi mesi fa il direttore dell’hotspot era un esponente del comune e quindi il sindaco e i cittadini avevano la possibilità di sapere ciò che avveniva là dentro. Oggi questa possibilità ci è stata tolta. Può sembrare strano, ma il direttore dell’hotspot lo nomina sempre la cooperativa che gestisce la struttura. Controllore e controllato coincidono. Non va bene: l’hotspot non può essere un’enclave isolata dall’azione delle amministrazioni locali.

 

Rispetto a ciò che accade negli hotspot contano anche le direttive e le politiche di redistribuzione europee. Come le giudica?

Per cultura politica tendo sempre a schierarmi dalla parte dei più deboli. Quando lo scontro era tra i migranti e Salvini, sono stato con i primi contro il secondo. Ma quando il conflitto era tra i leader europei e il ministro dell’Interno, ho preso le sue parti, anche se non condivido nulla delle sue politiche. Questo perché ci sono importanti responsabilità comunitarie nei meccanismi di redistribuzione. Per cambiare le regole europee, però, bisogna partecipare ai vertici internazionali. Serve una commissione ad hoc che sia condivisa da tutti gli Stati e si occupi di ricollocare i migranti. Ma se in Europa ci sono paesi come quelli del cosiddetto blocco di Viségrad che non condividono questa impostazione le cose non vanno bene. Il problema è che negli ultimi mesi i nostri principali alleati sono stati i nostri più acerrimi nemici.