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Roberta Lena, discesa all’inferno e presa di coscienza

Roberta Lena, discesa all’inferno e presa di coscienza

Il libro Roberta Lena in «Dove sei?» racconta la separazione dalla figlia Eddi, dalla rivoluzione alla sorveglianza speciale

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 22 maggio 2021

«Mamacita, ti volevo mettere al corrente che tra una settimana parto.» Quando mi chiama mamacita c’è il trucco.
«E dove vai?»
«In Rojava.»
«Dov’è?»
«In Siria.»

No, non scherzare, in Siria c’è la guerra, non si va in Siria.»
«Vado in Rojava.»
«Cos’è?»
«Siria del Nord, un pezzo di terra dove i curdi hanno realizzato l’unica rivoluzione riuscita di questo secolo e dove c’è la pace.»
«???»
«Una rivoluzione partita dalle donne: Stato sociale, ambientalismo, libertà di religione, uguaglianza di genere… un popolo senza soprusi.»
«I curdi?» la guardo stupita. «Ma tu cosa c’entri coi curdi?»
«È anche la nostra lotta.»
Segue una lunga pausa. La guardo: e adesso cosa bisogna fare? Cerco di guadagnare tempo.
«Ma non ti dovevi laureare a gennaio?…Maria Edgarda, è assurdo, è pericoloso…» Mi mancano le parole. «E poi tu, tu non sei curda!»
«Mamma,… Questa esperienza, è l’unica rivoluzione riuscita di questo secolo, di questo secolo, ti rendi conto? Io devo vederla, devo raccontarla.»
«Ma i curdi combattono contro l’Isis, l’Isis! Sei pazza?»

Roberta Lena, attrice, regista, Madre è l’autrice di questo libro bello e intenso che ho letto tutto d’un fiato Dove sei ed. People storie, un diario che ricostruisce attesa per attesa, angoscia per angoscia, dubbio per dubbio un evento di quelli che ogni madre spera di non dover vivere mai. Ho conosciuto Roberta molti anni fa all’inizio della sua carriera d’attrice era insieme Daniela Coelli e Sara Alzetta coprotagonista del «Carro delle curiose», performance itinerante Nicoliniana di cui avevo scritto i testi sulle musiche di Arturo Annecchino; la ragazza era bellissima e vivace, occhi neri come il carbone e bocca sempre pronta al sorriso, Eddi non era ancora nata.

Nei 9 mesi, la durata di una gravidanza, in cui sua figlia Maria Edgarda Marcucci, detta Eddi, era in Syria sotto le bombe turche su Afrin a combattere con le YPJ (esercito femminile nord-est Syria), Roberta ha attraversato una tempesta emotiva in cui si sono mescolate ammirazione, paura, contraddizioni, rifiuti, reazioni ansiogene e psicofisiche incontrollabili, alla scoperta di un mondo nuovo. Da questo diario emerge forte la percezione dell’abisso che c’è tra teoria e realtà, tra l’aver educato la propria figlia a principi di solidarietà, giustizia, libertà e improvvisamente trovarsi a vivere il terrore panico nel saperla al fronte, in un paese lontano e sconosciuto, a combattere per difendere proprio quei principi e sentirsi inadeguata a sopportare tanta pena.

Durante le interminabili ore passate in attesa di notizie Roberta è stata costretta a mettersi a nudo, a ripercorrere la propria storia di donna e madre di una figlia da sempre caratterialmente ribelle alle ingiustizie. Un rapporto, quello tra le madri e le figlie, sempre intenso, fisico, difficile, a volte doloroso nel suo connaturato rispecchiamento e nella necessità di superamento del proprio modello originario che spesso lo contraddistingue. Così, nella mutata posizione gerarchica da figlia a madre, Lena, ripercorrendo la memoria di sé stessa, si scopre a ripensare proprio al trauma primario la perdita della propria madre appena dodicenne e a perdonare e finalmente capire la nonna severa con cui era stata costretta a vivere, unica femmina con quattro fratelli. Un flusso di pensieri, sensi di colpa, analisi di errori, inciampi, mancanze, resuscitati da un malinconico bolero: «Culpa mía… este sufrimiento que me está matando…» La nascita di Eddi, la difficoltà di essere attrice e madre nello stesso tempo, e così avanti e indietro tra la ricostruzione della memoria e un presente imprevisto e inimmaginabile.

Un‘autoanalisi dolorosa e necessaria per capire cosa ha portato l’amata figlia ad una scelta così estrema, così rischiosa. Una sorta di viaggio all’inferno, per fortuna con risalita con il ritorno di Eddi, scandito dalla quotidianità faticosa, dal lavoro, dai giudizi degli sconosciuti e dalla preziosa solidarietà delle altre madri di questi militanti internazionali. E la presa di coscienza di una realtà, di un luogo fisico prima sconosciuto e adesso osservato giorno per giorno sulle carte geografiche, in attesa delle lettere di Eddi con i suoi racconti, i suoi entusiasmi, i suoi terrorizzanti silenzi, e poi scegliere di schierarsi e condividere la stessa lotta e arrendersi a quello strano ribaltamento per cui sono i figli, a volte, a rivelarti la realtà, a insegnarti la coerenza.

«Questo diario è il mio modo di dare un contributo a far conoscere questa storia specialmente adesso che a Eddi hanno tolto ogni libertà» mi dice Roberta. Infatti dopo essere sopravvissuta ai bombardamenti Turchi su Afrin al suo rientro in Italia Maria Edgarda Marcucci (che ho intervistato per questo giornale a gennaio 2019), è stata sottoposta alla sorveglianza speciale, senza aver commesso alcun reato, in base ad un articolo risalente ai tempi del fascista codice Rocco.

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