Il caso ha voluto che morisse a Roma, mentre si trovava nel nostro paese per i suoi numerosi impegni professionali. Robert Solomon Wistrich, tra i maggiori studiosi dell’antisemitismo contemporaneo, si è spento il 19 maggio, all’età di sessantanove anni. Chi lo ha conosciuto ne ha apprezzato il talento intellettuale e la capacità di offrire una sguardo ampio, non debitore di scuole di pensiero né di cliché che pure esistono, ed in abbondanza, nello stesso mondo della ricerca così come dell’accademia. Forse perché egli stesso, all’atto concreto, sembrava più un «padre» intellettuale che non il figlio putativo di qualcuno o il depositario di una qualche «tradizione» di pensiero. Era titolare della cattedra «Neuburger» di storia europea ed ebraica all’Università ebraica di Gerusalemme.

A tale ruolo di insegnamento univa, dal 2002, la direzione, culturalmente non meno rilevante, del Centro universitario internazionale Vidal Sassoon per lo studio dell’antisemitismo. Di fatto, quest’ultimo rimane il punto di riferimento nell’analisi, a livello mondiale, delle forme, della natura e delle trasformazioni del pregiudizio antiebraico. Una sorta di bacino collettore di dati, informazioni ma anche indagini che poi si traducono in riflessioni prospettiche la cui influenza non è solo consegnata al mondo degli studi ma anche a quello della politica.

Del pari a molti suoi connazionali, aveva origini lontane, complicate, essendo nato in Kazakistan, nei primi giorni di aprile del 1945, quand’essa era una delle repubbliche sovietiche. I suoi genitori, a loro volta polacchi, a lungo vissuti a Leopoli, vi erano riparati nel 1940, sfuggendo così alla morsa antisemita che stava colpendo la popolazione polacca di origine ebraica, destinata, a partire dal 1941, allo sterminio pressoché totale. Il padre di Robert, peraltro, subì le repressioni staliniane venendo arrestato dalla polizia politica.

Professor Robert Wistrich, Hebreeuwse Universiteit van Jeruzalem. Foto: Alfred Muller
[object Object],Professor Robert Wistrich, Hebreeuwse Universiteit van Jeruzalem. Foto: Alfred Muller

Il ritorno in patria, grazie all’applicazione degli accordi intercorsi, dopo la sconfitta nazista ad Est, tra il governo sovietico e quello polacco in esilio, non concluse la parabola della sua famiglia la quale, verificando ancora l’ostilità nei confronti degli ebrei sopravvissuti, si spostò quindi in Francia. Robert crebbe tuttavia in Inghilterra, facendo i suoi studi a contatto con la cultura anglosassone, il cui carattere mantenne pressoché per tutta la sua vita.

Nel 1962, ancora giovanissimo, gli si aprirono anticipatamente le porte degli studi universitari in campo storico. Fu quindi a Cambridge, al «Queen’s College», che realizzò e completò la sua formazione. Qualcuno lo ricorda come uno «sgobbone», immerso nella comprensione della complessità dei processi storici, dai quali era intimamente attratto, in una sorta di fatale seduzione. Più prosaicamente, alla passione per la storiografia coniugava la consapevolezza della sua condizione di migrante, ancorché integrato nelle cultura ospite. Datano alla fine degli anni Sessanta i suoi primi rapporti con Israele dove, a ventiquattro anni, divenne l’editor letterario di «New Outlook», rivista di chiara impostazione militante, fondata da Martin Buber.

Nel 1974 conseguì quindi il dottorato all’Università di Londra, avviando una prestigiosa carriera, interna alle istituzioni accademiche, ma costantemente rivolta alla socializzazione delle conoscenze. Fino al 1980, infatti, fu direttore di ricerca all’Istituto di storia contemporanea della Wiener Library, l’ente che in Europa più e meglio si è dedicato allo studio del genocidio degli ebrei e all’indagine sul nazismo. Con gli anni successivi, nella sua qualità di ricercatore per la British Academy, avviò un rapporto di scambio e collaborazione con l’Università di Gerusalemme. Il campo applicativo, che divenne poi il suo ambito di più alta specializzazione, era il rapporto otto-novecentesco tra ebraismo e socialismo. Non di meno, lo studio delle dinamiche e dei processi culturali e storici che hanno accompagnato le vicende delle comunità ebraiche mitteleuropee in età contemporanea si tradusse in una rilevante quantità di opere, tra saggi, monografie e collaborazioni a lavori collettanei. Nei primi anni Novanta si divise tra l’insegnamento, a quel punto consolidatosi, all’Università di Gerusalemme, la cattedra di studi ebraici all’University College di Londra, la densissima attività pubblicistica e quella di collaborazione ai programmi culturali delle reti televisive e radiofoniche, a partire dalla Bbc.
Le sue tante consulenze si basavano su una ricchissima miscela di competenze analitiche, erudizione, intuizioni sociologiche e grande competenza di comunicazione. Fatto che lo rendeva in grado di coniugare ricerca e divulgazione, ritenendo la seconda non ancillare alla prima. Non di meno, la capacità di muoversi sui diversi piani della riflessione storica e storiografica gli permise di cogliere i nessi tra le radici antiche dell’antisemitismo e il suo manifestarsi, in forme inedite, come ideologia della rivalsa e del populismo, soprattutto nel campo dei movimenti del radicalismo islamista. Sui quali aveva soffermato la sua attenzione, avviando un campo d’indagine che è a tutt’oggi ancora per buona parte inesplorato.