«Robert Walser non è un autore obliato. Ma è un autore dell’oblio»: così Peter Utz, principale editore e studioso di questo scrittore apprezzato in vita da Kafka, Hesse, Musil, Benjamin e Canetti. Da noi i suoi romanzi sono stati «scoperti» da Adelphi, mentre i suoi versi sono stati assai poco frequentati. Disponiamo, però, di un volumetto prezioso: Poesie con illustrazioni di Karl Walser (traduzione del poeta ticinese Antonio Rossi, Casagrande, pp. 105, € 18,00). Tradotto dalla benemerita casa editrice della Svizzera italiana, Walser è intimamente svizzero per il suo riserbo, la sua discrezione, i suoi silenzi, per la sua predilezione per gli orologi e perfino per le banche.

Da giovane fu impiegato di banca a Zurigo, che benché fosse il centro del movimento dada, e la metropoli raffigurata nel Lupo della steppa di Hesse, era poco considerata in quegli anni. Ricoverato per forti disturbi psichici prima a Berna e poi a Herisau Walser morì dopo ventisette anni, nel giardino innevato della casa di cura il giorno di Natale. La neve è un leitmotiv che percorre le sue liriche, pubblicate nel 1909 con gli splendidi disegni del fratello Karl, affermato illustratore e sostegno morale di Robert, che introdusse negli ambienti artistici di Berlino nel periodo più felice della sua vita. Chissà se il suo ricovero non fosse una sottile strategia di elusione dal mondo che aveva appreso a sfuggire, rinunciando a ogni speranza di cambiamento.

La lirica «politica» Perché poi? è un inno alla sollevazione con un’improvvisa, inattesa deriva rassegnata: «Voglio soffrire e vagare/ finché il popolo sarà libero;/ non voglio più adagiarmi stanco, / qualcosa deve/ accedere». Ma a quel punto lo assalì un pensiero, / un torpore: lascia perdere!»

Raggelante, la svolta è verso il paesaggio dell’interiorità lirica, quello assai elvetico e assai novecentesco che emerge dai suoi versi: «Com’è piccola qui la vita / e come grande è il nulla / Il cielo, stanco della luce / ha dato tutto alla neve». Quella stanchezza affiora nel suo ripiegamento lirico, in un distacco attuato da ‘vivo’: «Solo ciò che è dimenticato, resta giovane e bello».