«La maggior parte delle persone diventate scrittori di fantascienza sono stati ragazzini un po’ strambi… Non siamo, e di gran lunga, una categoria che in gioventù ha trovato facile andare d’accordo con gli altri. Il che spiega perché siamo diventati sognatori, ritirandoci nei nostri mondi privati di straordinaria vivacità; e potrebbe essere per questo, adesso che abbiamo imparato a trasformare quei sogni in dollari e a frequentare con disinvoltura il prossimo».

Così scrive Robert Silverberg – ultima star della science fiction nell’età dell’oro – nel saggio che dà il titolo alla raccolta Scrivere fantascienza Riflessioni e rifrazioni, finalmente tradotta da Marco Farinelli, con quasi trentacinque anni di ritardo, grazie a 451 Non fiction, la nuova area saggistica delle Edizioni BD (pp. 210, € 16,00).

A metà strada fra il professore matto e il giocatore d’azzardo delle bettole, ma sempre con notevole charme saggistico, Silverberg raccoglie qui molti interventi sparsi su rivista. Dalla «Lettera a uno scrittore esordiente», al micro saggio «Farsi pubblicare troppo presto», alle «Revisioni», all’immancabile e godibile «Tutto quello che uno scrittore deve sapere», nella prima sezione dedicata alla «Professione».

Nella seconda parte – «Colleghi» – i ritratti di Isaac Asimov, Lester Del Rey, John W. Campbell jr, Robert Heinlein, Philip Dick, Harlan Ellison, Theodore Sturgeon («nessuno può essere all’altezza» sentenzia Silverberg), tutti riusciti tranne il capitolo dedicato a James Tiptree jr ovvero Alice Sheldon: neppure il vecchio saggio Silverberg sembra aver capito la beffa (e il dolore) di una scrittrice che si finse uomo.

Umorismo, accattivante divulgazione, trucchi da vecchio mago: «Per diventare scrittori è necessario studiare il mestiere… Individuati i princìpi basici della narrativa tramite osservazione e analisi, occorrerà educare sé stessi alla loro applicazione. Allora, la scrittura è attitudine interamente da autodidatta?». Sì, pagando un prezzo alla solitudine. «Leggere libri sulla scrittura è una preparazione solitaria per una professione ineluttabilmente solitaria: leggere libri del genere, dialogare mentalmente con il suo autore, partecipare a una taciturna dialettica sull’apprendere: questa cosa mi piace».

Nella generazione «di mezzo» Silverberg si distingue grazie ai suoi linguaggi innovativi, alla grande sperimentazione e all’insofferenza contro gli editori (accusati giustamente di pretendere «il cottimo») ma perfino contro il genere: si allontanò dalla fantascienza una prima volta, poi una seconda nel 1976 («decisione irrevocabile» ma fu revocata). Ci ha lasciato un paio di capolavori e alcune schifezze (almeno una dozzina sotto pseudonimo quando appunto era «cottimista») più decine di eccellenti romanzi.