Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta è uno dei libri da cui Robert Redford ha sempre voluto fare un film. L’attore/regista/ambientalista ha parlato ancora di quel desiderio in un’intervista con il «New York Times» del 1997. Ma il best seller di Robert Pirsig lo aveva colpito fin dal momento della sua pubblicazione, nel 1974. Lo stesso Pirsig dedicò sei pagine del diciannovesimo capitolo del suo secondo (e ultimo) libro al loro incontro, in un albergo sovrastante Central Park. «Voglio i diritti di questo libro» avrebbe detto Redford. E Pirsig: «Sono tuoi. Non sarei nemmeno qui se non fossi deciso a darteli».

IL FILM NON SI FECE MAI, e lo scrittore rifiutò numerose richieste analoghe provenienti da Hollywood. Nell’ipotesi di fidarsi di Redford, però, probabilmente aveva visto giusto perché’, insieme all’amore per il paesaggio e la cultura della strada, l’idea della trascendenza intrinseca anche all’esperienza pratica, più ordinaria, banale (nel caso del libro, la cura e la comprensione di un oggetto meccanico) è molto redfordiana – da Gli spericolati e Corvo rosso non avrai il mio scalpo ai più recenti L’uomo che sussurrava ai cavalli e All Is Lost-Tutto e’ perduto. Da parte sua, Redford – con il suo attivismo liberal pensato, attento, ancorato alla storia, alla natura e al contesto- non può non aver amato l’idea di un libro che gettava un ipotetico ponte tra la controcultura antitecnologica e antindustriale dei sixties e un’America per certi versi ancora saldamente legata alla decade precedente. Con lui dietro alla macchina da presa, è facile immaginarsi una risposta razional-umanista a Easy Rider. Uneasy Rider, non a caso era il titolo della recensione apparsa all’uscita del libro, sul «New Yorker».

«CREDO NELL’ESISTENZA di uno zeitgeist. E penso che il libro sia diventato molto popolare perché c’era molta gente che cercava riconciliazione – anche senza saperlo. In un certo senso, Pirsig provvide una sorta di atterraggio morbido, dalla stratosfera euforica dei tardi anni Sessanta nel mondo reale della vita adulta», disse qualche anno fa al «New York Times» il sociologo Todd Gitlin, un profondo conoscitore della controcultura Usa. E oggi, ripercorrendo il viaggio di Pirsig sulla mappa geografica degli Stati Uniti è difficile non pensare al suo strano memoir filosofico on the road come a un preciso tentativo teorico (ma attenzione, né lo zen né la meccanica vanno presi alla lettera, ammonì l’autore) di suggerire una linea di continuità che unisca la Red America a quella Blu.
Evocando la guerra civile, nel libro Pirsig parla già infatti di «due mondi progressivamente alienati e che odiano l’un l’altro; mentre tutti si chiedono se sarà così per sempre – una casa divisa e contro sé stessa». Diagnosticato di schizofrenia all’inizio dei sixties, lo scrittore disse in più occasioni che il processo di stesura del libro era stato anche un modo di fare pace con sé stesso dopo anni di trattamenti psichiatrici.

ROBERT PIRSIG è mancato lunedì, nella sua casa a South Berwick, in Maine, all’età di 88 anni. Il suo editore William Morrow, che ne ha annunciato la morte, ha detto che era malato da tempo.
William Morrow era stato (secondo Pirsig) l’unico di 122 editori a cui lo scrittore del Minnesota aveva mandato una sinossi e uno stralcio di quello che sarebbe diventato il suo libro, basato su un viaggio di diciassette giorni – da Minneapolis a San Francisco – a bordo di una Honda Super Hawk, accompagnato da suo figlio undicenne e da due suoi amici.

Paragonato da alcuni critici a testi sacri dalla letteratura americana come Moby Dick e On the Road, e al trascendentalismo di Thoreau, Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta ha venduto oltre cinque milioni di copie. Pirsig era nato a Minneapolis, da un padre di origine tedesca a da una mamma svedese. Suo padre era professore di giurisprudenza alla University of Minnesota, la stessa da cui Robert fu espulso (dai corsi di biochimica) per voti tropo bassi, nonostante fosse intelligentissimo. L’interesse nelle religioni orientali, con particolare attenzione nei confronti del buddismo zen iniziò con un viaggio in Giappone durante una licenza dall’esercito, dove si era arruolato prima della guerra di Corea. Laureato in filosofia presso la University of Chicago e l’indiana Banars Hindu University insegnò in college del Montana e del’Illinois. Il successo del libro lo rese molto ricco ma anche diffidente nei confronti della pubblicità, dei giornalisti e del culto che Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta aveva creato. Il suo secondo libro, Lila: an Inquiry into Moral, ambientato su una barca a vela, era una specie di sequel ma non ebbe la stessa fortuna.