Per il critico e saggista Vincenzo Martorella (Il Blues, Einaudi 2009) «egli, per molti osservatori è il blues: ne rappresenta le sfumature più segrete implicite, i preziosismi lessicali e le dissipatezze umane. (…) La fortuna critica di Johnson travalica il semplice apprezzamento, la mera collocazione storico-stilistica per tracimare nel campo dell’agiografia, del culto segreto e modesto di un personaggio leggendario. Insomma: secondo una celebre definizione, Robert Johnson ha tutto per essere il bluesman più mitologicamente corretto della storia».
A ottant’anni dalla scomparsa (16 Agosto 1938) il musicista è ancora un mito inossidabile. Un mito che si è installato stabilmente nell’immaginario collettivo attraverso una moltitudine di testi critici, racconti, citazioni e trasposizioni in romanzi, film, fumetti. Praticamente perfetta la sua biografia: poche informazioni, solo due foto riconosciute (nel 2013 ne è spuntata una terza ma di dubbia attribuzione), morto a soli ventisette anni per un probabile avvelenamento da parte di un marito geloso. L’eredità musicale è tutta in due sedute di registrazione a San Antonio nel 1936 e a Dallas nel 1937: ventinove brani per un totale di quarantadue incisioni che si possono ascoltare nel doppio cd Robert Johnson. The Centennial Collection. The Complete Recordings (Columbia, 2011).
La sua influenza sulla musica è enorme. Basti vedere la quantità di musicisti che ne hanno reinterpretato le canzoni e dichiarato di averne subito l’ispirazione. Con una parola: imprescindibile.
Il fumetto non si è lasciato scappare l’occasione di raccontarne la vita, la musica e la leggenda. Inutile dire che abbondano le avventure che raccolgono le suggestioni del famoso patto con il diavolo che l’artista avrebbe contratto ad un crocicchio per diventare il geniale musicista che fu. Vicenda che sarebbe desunta da alcuni suoi versi la cui interpretazione è stata ormai abbondantemente confutata da storici ed esegeti (Luigi Monge, Robert Johnson. I Got the Blues. Testi commentati, Arcana, 2008). Sia come sia, bluesmen tragici e disperati, demoni implacabili che reclamano il proprio diritto, violenza esistenziale, paludi misteriose, campi bruciati dal sole e sceriffi razzisti sono ingredienti utilizzati quasi immancabilmente nel fumetto blues. E molti di essi si rifanno in qualche modo a Robert Johnson. L’ultimo in ordine di tempo è il noir Crossroads Blues (Image Comics), secondo episodio della serie imperniata sul detective/armonicista Nick Travers scritta da Ace Atkins e disegnata da Marco Finnegan. Nella storia una catena di violenze e omicidi ha origine dalla caccia ad una collezione di dischi inediti del chitarrista, una sorta di Sacro Graal per ogni collezionista e storico della Musica del Diavolo. L’avidità umana come incarnazione del Maligno.
Mojo (Glénat/Vent d’Ouest, 2011) dei francesi Rodolphe e Georges Van Linthout è un ampio affresco sul blues: entro la cornice del racconto della carriera di un bluesman di fantasia, Slim Whitemoon, vengono illustrate le storie di diversi personaggi reali come Blind Lemon Jefferson, Sonny Boy Williamson e naturalmente anche Robert Johnson. Gli autori tratteggiano in poche tavole la parabola del musicista dagli esordi alla fulminante carriera dando enfasi al famoso patto con il diavolo e chiosando con il misterioso avvelenamento. Il trattamento è tutto sommato frettoloso come può esserlo una narrazione che si prefigge lo scopo di compilare una succinta storia del blues con sottinteso intento divulgativo. E come tale va preso, con l’inevitabile superficialità e semplificazione che ne deriva.
Di gran lunga più interessante è la comparsa di Johnson in La rêve de Meteor Slim (Sarbacane, 2008) di Frantz Duchazeau. In questo bel volume il giovane protagonista compie il suo apprendistato nel mondo del blues grazie all’incontro con il leggendario chitarrista che ha qui il ruolo del maestro che indica la via e aiuta a penetrare nei segreti di questa musica con ironia e senso pratico. Nessuna concessione allo stereotipo dell’eroe maledetto ma invece l’immagine di un artista maturo e consapevole come è quella che emerge da un attento ascolto delle sue incisioni. Questo fumetto si colloca per efficacia stilistica e profonda conoscenza musicale ai vertici del fumetto blues in assoluto. Non a caso l’autore ha realizzato anche Lomax. Ricercatore di folk songs (Coconino, 2012), Les jumeaux de Conoco Station (Sarbacane, 2009) e Blackface Banjo ( Sarbacane, 2013), tutti sulla musica americana.
Arriviamo infine a due vere e proprie biografie. Love in Vain (Glénat, 2014) di Jean-Michel Dupont e Mezzo è un elegante volume cartonato in formato orizzontale. I meravigliosi disegni sono di un bianco e nero molto carico. La precisione del segno, che rimanda alle incisioni, crea tavole di grande densità. Ogni vignetta ha una quantità di dettagli stupefacente con una rara sapienza nella ricostruzione degli ambienti, abbigliamenti e paesaggi. Ne emerge un racconto visuale degli Stati Uniti negli Anni Trenta vivido e visionario. Perfettamente credibile per l’accurata ricerca iconografica e al tempo stesso in grado di generare molteplici suggestioni. È un universo spietato e crudele dove prende vita un’epica proletaria allucinata ed erotica. Mezzo ricrea con spirito punk il folklore e il mondo magico afroamericano, la miseria materiale e morale, il conflitto/attrazione tra uomo e donna, il grumo di sofferenza esistenziale e fame di vita che erutta nelle canzoni di Robert Johnson e ne fanno piccoli capolavori compiuti. La sceneggiatura si concede margini di invenzione e divagazione dalla realtà storica accertata, che sappiamo essere assai scarna, ma lo fa sempre con estrema pertinenza. Un tributo all’altezza della statura dell’opera che questo musicista ci ha lasciato.
Sceglie invece direttamente la via dell’invenzione totale e senza freni dichiarandola fin dal titolo Me and the Devil Blues. The Unreal Life of Robert Johnson del giapponese Akira Hiramoto. Pubblicato in Giappone tra il 2005 e il 2015 in cinque volumi dei quali purtroppo solo i primi quattro tradotti negli Stati Uniti e in Francia, questo manga allestisce un lungo racconto che sarebbe piaciuto ai fratelli Coen. Un Sud tenebroso dove la violenza è latente in ogni sguardo e postura ed è pronta a scattare con la ferocia di un lupo affamato. Il lettore precipita in horror gotico popolato da follia e perversione tra bluesmen, gangster e razzisti. Il ritmo non lascia fiato utilizzando al meglio il dinamismo esasperato tipico dei manga e le scene delle performance dei musicisti nei juke joint hanno la tensione di un duello western. Geniali le soluzioni di sceneggiatura: il dono che il diavolo fa a Robert Johnson è una mano orribilmente mutante con dieci dita, un marchio di diversità che il chitarrista deve nascondere e che va ad aumentare la sua condizione di marginale in una società dove i confini tra bene e male sono estremamente labili. In tutto questo il nostro eroe è un uomo fragile e impaurito costretto sempre a fuggire. Questo essere sempre un possibile bersaglio, con le conseguenze psicologiche che possiamo immaginare, è stato ben raccontato da scrittori afroamericani come Chester Himes (il romanzo Corri uomo corri, Giano, 2005), Ta-Nehisi Coates (il saggio Tra me e il mondo, Codice Edizioni, 2015) e fatto diventare argomento del dibattito politico dal movimento Black Lives Matter.