Il dialogo tra Rojava e Damasco era nell’aria da tempo, facilitato prima dal mancato scontro diretto (se non in casi sporadici) tra unità di difesa curde Ypg/Ypj ed esercito governativo negli ultimi sette anni di guerra e poi dalle aperture del governo siriano dopo il referendum per l’indipendenza dello scorso settembre nel vicino Kurdistan iracheno.

La stessa amministrazione di Rojava, figlia del progetto di confederalismo democratico, ne aveva preparato il terreno in questi anni auto-dichiarandosi Federazione della Siria del Nord, scacciando dunque i dubbi su un’eventuale volontà secessionista: Rojava ha sempre ribadito di voler restar parte della nazione siriana.

Venerdì una delegazione del Consiglio democratico siriano, in rappresentanza della Federazione, è arrivata a Damasco su invito del governo per discutere del futuro della regione. Un primo passo che avrebbe però già portato a qualche risultato: nella capitale siriana, ha fatto sapere ieri il Consiglio, si è deciso di «formare comitati su più livelli» per affrontare i modi con cui porre fine alle violenze nel paese e per definire «una road map per una Siria democratica e decentralizzata».

Se confermata, si tratterebbe di una svolta significativa: discutere di decentralizzazione o di Stato federale non è proprio un punto in agenda per il governo che, dopo sette anni, ha ripreso il controllo di quasi tutto il paese.

Possibile dunque che una forma di autonomia sia prevista solo a nord, un accordo specifico con il presidente Assad per garantire la sopravvivenza di un esperimento politico unico nel suo genere ma tuttora minacciato (le truppe turche sono ancora nel cantone di Afrin, insieme a decine di migliaia di miliziani islamisti).

In cambio Assad otterrebbe la pacificazione e l’accesso – senza timore di scontri militari – a una zona ricca di risorse energetiche e terre agricole. Ma a decidere non è solo Damasco: impossibile ignorare il ruolo della Turchia che per Rojava ha tutt’altri piani, una zona cuscinetto non certo amministrata dai «nemici» curdi ma da entità vicine ad Ankara.

Un’effettiva autonomia inoltre stravolgerebbe il senso della presenza nella zona degli Stati uniti, sponsor militare (non certo politico) delle Ypg che usano da tempo per mantenere un piede in Siria e allo stesso tempo per attribuirsi un ruolo nella guerra all’Isis.

In ogni caso se il negoziato reggerà, sarà lungo e complesso. Un eventuale accordo potrebbe modificare totalmente i rapporti interni e aprire a una fase di reale democratizzazione che gioverebbe alla stessa Damasco di Assad. Potenze esterne permettendo.