«Il governo annuncia la liberazione di Aden nel primo giorno dell’Eid al-Fitr». Con un post su Facebook il vice presidente del governo ufficiale yemenita, Khaled Bahah, ha celebrato ieri la ripresa della città costiera meridionale, capitale provvisoria delle istituzioni dopo l’occupazione di Sana’a da parte del movimento ribelle Houthi.

In tre giorni di scontri, con un’operazione lampo ribattezzata “Freccia Dorata”, le forze fedeli al presidente Hadi hanno espulso i ribelli dalla città e dai villaggi periferici. Decine di vittime, porto e aeroporto caduti, quartieri ripuliti ad uno a uno dalla presenza sciita. Raid a tappeto da parte dell’aviazione saudita e cento veicoli blindati inviati da Arabia saudita e Emirati arabi hanno deciso le sorti della battaglia. Ieri Ragah Badie, portavoce governativo, dopo aver fatto sapere che le truppe di Hadi stanno consolidando il controllo sulla città, ha annunciato che la controffensiva proseguirà verso nord.

La ripresa di Aden è, nel giorno dell’Eid al-Fitr, festa che chiude il mese sacro di Ramadan, la più cocente sconfitta per il movimento ribelle che in 100 giorni di operazione militare saudita ha mantenuto le posizioni. La caduta della città costiera potrebbe segnare, dicono Riyadh e governo yemenita, un punto di svolta del conflitto in corso e il ritorno delle istituzioni legittime: «A breve otterremo una vittoria gloriosa in Yemen – ha detto in tv il presidente Hadi, da tre mesi in esilio volontario a Riyadh – La vittoria ad Aden sarà la chiave di volta per salvare la nostra causa».

Già giovedì una delegazione ministeriale accompagnata dal capo dell’intelligence era atterrata ad Aden per «garantire stabilità prima del ritorno delle istituzioni dello Stato», ha spiegato un ufficiale. Ma, soprattutto, la ripresa di Aden significa la riassunzione del controllo su Bab al-Mandab, lo stretto che apre al Golfo e al suo greggio le porte verso il Mar Rosso e gli assetati mercati europei.

Quello che né Bahah né Hadi, però, dicono è chi sul terreno ha combattuto. A fianco dei fedelissimi di Hadi e ai jet di Riyadh, sarebbero scesi in campo non solo unità speciali emiratine (gli Houthi hanno catturato dei soldati, a dimostrazione di una presenza concreta sul terreno di forze straniere), ma soprattutto miliziani di al Qaeda nella Penisola Arabica (Aqap).

La notizia è apparsa ieri sul The Wall Street Journal che cita residenti, combattenti sciiti e un diplomatico occidentale rimasto anonimo: «Si rivolgono a chiunque li possa aiutare nel resistere agli Houthi». Locali raccontano di aver visto ad Aden bandiere di al Qaeda sventolare e suoi miliziani festeggiare la vittoria, trascinandosi dietro corpi di combattenti Houthi. Un pugno in faccia alla politica degli Stati uniti che dal 2011 hanno investito mezzo miliardo di dollari per addestrare le forze yemenite per fronteggiare Aqap e milioni per i bombardamenti con i droni.

Il portavoce del Ministero degli Esteri saudita – continua il Wsj – non commenta. Da tempo Riyadh è duramente criticata per la politica usata verso il più potente braccio nazionale della rete qaedista: i bombardamenti che hanno ucciso 3.500 persone (almeno la metà civili) non hanno mai sfiorato le postazioni di al Qaeda che ha così potuto occupare senza grossi intoppi quasi l’intera provincia occidentale di Hatramawt.

L’utilizzo di forze straniere (che potrebbero aprire la strada ad un intervento terrestre saudita) e della rete terroristica qaedista paiono spiegare le ragioni dietro la fretta di Riyadh che ha orchestrato una controffensiva in pompa magna. L’accordo siglato a Vienna dall’Iran fa accelerare la petromonarchia saudita, che teme che lo scongelamento dei conti esteri e il potenziale energetico di Teheran faranno piovere miliardi di dollari sull’asse sciita. Da parte sua l’Iran prosegue con la strategia diplomatica, insistendo nel negare un suo sostegno agli Houthi e nel promuovere la creazione di un governo inclusivo di tutte le parti in lotta.