Inebriato dall’accordo di normalizzazione tra Israele ed Emirati, Donald Trump qualche giorno fa ha detto di aspettarsi che anche l’Arabia Saudita stabilisca al più presto rapporti con lo Stato ebraico. Un auspicio fondato su elementi concreti. La Casa Bianca ha lavorato per mesi a un exploit diplomatico in Medio oriente per poterlo sfruttare nella campagna per le presidenziali. E inoltre Riyadh è stata, da quando Trump è presidente, la capitale che più di ogni altra nel Golfo ha stretto dietro le quinte i rapporti con Israele. Lo spregiudicato, a dir poco, principe ereditario Mohammed bin Salman (Mbs) non ha esitato ad addossare ai palestinesi sotto occupazione militare israeliana la responsabilità del mancato accordo con Tel Aviv. Eppure, giunti al dunque, l’Arabia saudita ha applaudito senza entusiasmo alla normalizzazione tra Israele ed Emirati e ha invocato la creazione di uno Stato palestinese.

 

Gli analisti ragionano sui motivi di questa frenata e della inedita fiammata panarabista che avvolge i palazzi della dinastia Saud. Qualcosa si è incrinato. Lo indica anche lo scoop che avrebbe messo a segno l’autorevole portale d’informazione Middle East Eye. Mohammed bin Salman, scriveva ieri Mee, ha annullato una visita a Washington la prossima settimana che prevedeva il suo incontro con il primo ministro israeliano Netanyahu. Un faccia a faccia fissato per il 31 agosto finalizzato non a un annuncio di normalizzazione tra Arabia saudita e Israele bensì ad una stretta di mano tra Mbs e Netanyahu davanti alle telecamere di tutto il mondo, simile a quella che si diedero nel 1978 il presidente egiziano Sadat e il primo ministro israeliano Begin a Camp David. Ne avrebbe tratto giovamento l’accordo tra Emirati e Israele. E l’erede al trono saudita sarebbe apparso come un «pacificatore» e non lo spietato mandante dell’assassinio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi e il brutale repressore degli oppositori e delle ambizioni di cugini e zii che non ha esitato a rinchiudere per settimane nella prigione di lusso del Ritz-Carlton Hotel. Quando sembrava tutto fatto, scrive Mee, Mbs si è tirato indietro temendo che la notizia fosse trapelata e che la sua presenza nella capitale Usa si sarebbe trasformata in un “incubo”. Per l’Amministrazione è stata una doccia gelata, che fa il paio con la cautela che altre monarchie del Golfo manifestano nei confronti della normalizzazione con Israele. Si erano fatto i nomi di Bahrain, Oman e Sudan pronti ad aprire le braccia a Netanyahu, ma gli annunci ancora non arrivano.

 

La brusca frenata all’ultima curva pare sia frutto della diversità di opinioni emerse nell’establishment reale saudita nei confronti del piano Trump, del progetto di annessione a Israele di porzioni di Cisgiordania palestinese e sull’opportunità di avviare in questa fase relazioni piene con Israele, solo per favorire la campagna elettorale di Trump. Anche a Riyadh leggono i sondaggi e al momento il Democratico Joe Biden ha le carte in regola per buttare il presidente in carica fuori dalla Casa Bianca. Al rampollo reale saudita perciò è stato suggerito di far uso di prudenza e di non mostrarsi troppo compiacente con Trump, forse destinato ad uscire di scena tra qualche mese. Riyadh inoltre ha capito che lo stop al piano di annessione di Israele sbandierato dagli Emirati per giustificare l’intesa con Netanyahu, in realtà è solo sospeso e il premier israeliano coglierà l’occasione propizia per rilanciarlo.

 

Conta anche l’orgoglio ferito dei sauditi che non hanno gradito di essere stati lasciati all’oscuro (o quasi) delle intenzioni degli Emirati e della mediazione Usa. Venerdì su Asharq Al-Awsat, il principe saudita Turki al-Faisal ha spiegato che Riyadh non è stata informata in anticipo dell’accordo. «Gli Emirati ci hanno sorpreso accettando un accordo con Stati Uniti e Israele», ha scritto escludendo poi una normalizzazione delle relazioni con Israele prima della creazione di uno Stato palestinese con Gerusalemme come capitale. E i media sauditi, da anni compiacenti con Israele, in questa occasione parlano di «normalizzazione in cambio di nulla» e che l’unico vincitore è Benyamin Netanyahu.