In Medio Oriente tremano equilibri consolidati da anni. Arabia Saudita, Egitto, Emirati e Bahrein ieri hanno rotto le relazioni diplomatiche con Doha aggravando la crisi esplosa dopo la visita di Trump a Riyadh e innescata da presunte dichiarazioni amichevoli verso l’Iran e offensive nei confronti della dinastia Saud fatte dall’emiro del Qatar, lo sceicco Tamim. Frasi smentite con forza da Doha che le ha attribuite ad un attacco di hacker. L’Arabia saudita e i suoi alleati hanno deciso una volta e per tutte di punire quella che descrivono come la «mancanza di fedeltà del Qatar al fronte anti-Iran» da parte del piccolo ma ricchissimo emirato, espulso anche dalla Coalizione militare sunnita che con le sue bombe devasta lo Yemen. Riyadh ha annunciato la sospensione dei voli verso Doha, la chiusura delle frontiere e la cessazione delle esportazioni. E forse da quei Paesi saranno espulsi i cittadini qatarioti, non è chiaro. Notizie che hanno provocato grande agitazione a Doha e spinto molti qatarioti a precipitarsi nei supermercati per fare scorte di cibo. Il Qatar importa il 90% dei generi alimentari e il 40% di queste importazioni arriva attraverso l’unica sua frontiera terrestre proprio con l’Arabia saudita. Inutile la rassicurazione data dal ministero degli esteri che il governo adotterà le misure necessarie per garantire il normale andamento della vita quotidiana. «Non ho mai visto niente di simile, persone con carrelli pieni di cibo e acqua», ha detto a Doha News un signore intervistato in un supermercato.

Si tratta della crisi più grave dal 1981, quando venne creato il Consiglio di cooperazione del Golfo – di cui fanno parte il Qatar, l’Arabia saudita, il Bahrein, gli Emirati, il Kuwait, l’Oman – e nei giorni scorsi non è servito all’emiro Tamim provare a smorzare l’aggressività saudita con la mediazione del Kuwait e dell’Oman, le due monarchie sunnite più riluttanti ad attuare la politica del pugno di ferro contro l’Iran. L’obiettivo saudita è umiliare e infliggere una lezione senza precedenti al Qatar già messo al bando tre anni fa sempre per l’accusa di sponsorizzare i Fratelli musulmani che contestano il ruolo che si sono autoassegnati i Saud nel controllo dei luoghi santi islamici di Mecca e Medina. E addomesticare la tv al Jazeera, l’ammiraglia del potere mediatico qatariota non solo nel mondo arabo. L’economia è dove i quattro Paesi coalizzati provano a colpire più duro poiché in diplomazia i danni per il Qatar saranno limitati alla luce del sostegno che riceve dalla alleata Turchia, altro sponsor della Fratellanza. Il crollo dell’economia, credono, influirà sul prestigio internazionale che Doha ha conquistato grazie ai miliardi di dollari generati dai suoi giacimenti di gas.

Il Qatar – tra polemiche e decine di morti sui cantieri degli stadi di calcio – ospiterà i Mondiali 2022. In questi ultimi anni ha effettuato investimenti miliardari attraverso il fondo sovrano Qia, tra i più grandi al mondo con asset per 360 miliardi di dollari che include nel suo portafoglio il 17% della Volkswagen, il 9,75% di Rosneft e quote di quasi 5 miliardi di dollari nelle britanniche Glencore, 3 miliardi in Barclays e Royal Dutch Shell. Qia detiene anche il 13% di Tiffany per un valore di circa 1,3 miliardi di dollari. La grande passione del fondo sovrano sono le banche con quote anche in Credit Suisse e Deutsche. L’interesse per l’Italia, decollato durante il governo Monti, è in costante crescita come dimostra il possibile acquisto della Meridiana da parte di Qatar Airways. Contro le aspettative saudite, il Qatar sembra in grado di evitare una crisi economica perché continuerà le proprie esportazioni di gas. E comunque può importare le merci via mare. Alla fine le sanzioni potrebbero rivelarsi un boomerang, soprattutto politico, per Riyadh, visto che Doha già riceve offerte di aiuti da più parti inclusa dalla “nemica” Tehran. Mentre gli Usa confermano la presenza dei loro comandi militari in Qatar contro i desideri dei Saud che li vorrebbero negli Emirati.

Qualcuno legge l’attacco diplomatico ed economico lanciato al Qatar dall’Arabia saudita e dai suoi alleati come l’inizio della «lotta al terrorismo» invocata il mese scorso a Riyadh da Donald Trump mentre si scagliava contro l’Iran sciita deliziando la platea colma di leader islamici sunniti. Come se l’Arabia saudita non fosse la petromonarchia che più di ogni altra ha garantito flussi di milioni di dollari alle associazioni “caritatevoli” che foraggiano Isis e al Qaeda. Quella in corso non è una guerra al terrorismo ma lo scontro tra le due potenze economiche arabe che maggiormente hanno finanziato il radicalismo religioso, che colpisce anche in Europa, e contribuito ad incendiare Iraq e Siria con le conseguenze in termini di milioni di profughi e centinaia di migliaia di morti che ben conosciamo. «Tre settimane fa Donald Trump credeva di aver plasmato una coalizione sunnita contro l’Iran» ci diceva ieri l’analista Mouin Rabbani «invece ha solo dato il via libera alle sfrenate ambizioni di egemonia dell’Arabia saudita finendo per frantumare l’unità dei suoi alleati arabi con un evidente vantaggio proprio per Tehran».