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Riyadh ha già rotto la tregua in Yemen

Riyadh ha già rotto la tregua in YemenDevastazioni dei raid sullo Yemen – Reuters

Yemen L'Arabia saudita accusa il movimento ribelle Houthi che però non era stato avvisato del cessate il fuoco. Nessun aiuto consegnato alla popolazione civile

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 28 luglio 2015

Previsione azzeccata: anche questa tregua, l’ennesima, non è durata che poche ore. Dopo averla annunciata unilateralmente sabato, l’Arabia saudita l’ha rotta subito. Ufficialmente, la responsabilità – secondo Riyadh – è del movimento ribelle Houthi, colpevole di aver proseguito con le azioni militari nonostante il cessate il fuoco. Lo avevamo scritto domenica su queste pagine: difficile che la tregua di cinque giorni per «motivi umanitari» potesse reggere se dichiarata soltanto da una parte e mai notificata ufficialmente, attraverso l’Onu, ai ribelli.

Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, domenica sera ha chiesto a tutte le parti di interrompere le operazioni militari, ma il capo del comitato rivoluzionario Houthi, Mohammed Ali al-Houthi, ha tenuto a sottolineare che il gruppo non è stato informato dal Palazzo di Vetro in merito al cessate il fuoco.

E così poche ore dopo i raid della coalizione anti-sciita sono ripresi perché – dice una fonte vicina al governo ufficiale yemenita, alleato di Riyadh – i combattenti ribelli Houthi «hanno colpito diverse aree residenziali nella città di Taiz». La stessa teatro, venerdì sera, del massacro di 120 civili da parte dell’aviazione saudita che ha centrato la zona del porto abitata per lo più da operai e ingegneri della vicina centrale elettrica. Secondo altre fonti, i combattenti Houthi avrebbero lanciato missili nella regione settentrionale di al-Tawal (lungo la frontiera con il territorio saudita) e anche nella città meridionale di Aden.

Diversa la versione del movimento sciita, secondo il quale a rompere la tregua è stata la stessa Riyadh bombardando le province di Hajjah e Saada. Raid erano stati compiuti anche sabato notte, poco prima l’entrata in vigore della tregua, e domenica mattina contro la capitale Sana’a e contro la base militare di al-Anad, ad Aden, occupata dagli Houthi in primavera.

Tanta è stata la violenza che durante la supposta tregua, per errore, i jet militari dei Saud hanno colpito ieri nella provincia meridionale di Lahej anche postazioni delle forze fedeli al presidente Hadi, ovvero forze alleate, uccidendo 12 soldati.

La conseguenza è chiara: nessun aiuto sarà distribuito alla popolazione sotto assedio. Il cessate il fuoco, chiesto dal presidente Hadi, doveva permettere la consegna di medicinali, cibo, acqua potabile e carburante agli ospedali e ai civili, l’80% dei quali soffre per mancanza quasi totale di beni indispensabili. A causa del blocco navale e aereo imposto dall’Arabia saudita, solo una nave dell’Onu è stata autorizzata ad attraccare al porto di Aden, strappato ai ribelli, la scorsa settimana: a bordo c’erano aiuti per 180mila persone. Dopo, il silenzio, di nuovo. Intanto sale il numero delle vittime, ormai ben oltre le 3.600 (di cui almeno 365 bambini), e degli sfollati interni, sopra il milione.

La guerra yemenita, civile e regionale insieme, ha poca attrattiva per molti media occidentali ma ha il potere di un terremoto per i fragili equilibri mediorientali: in Yemen la petromonarchia di re Salman si gioca molto, credibilità ma anche potere reale. Con l’Iran pronto a rientrare in pompa magna nella comunità internazionale – e nei ricchi affari energetici – Riyadh non vuole perdere tempo.
Gioca, però, con il fuoco: per mantenere lo stivale sul paese, si allea più o meno direttamente con attori pericolosi, dai movimenti secessionisti del sud dello Yemen ad al Qaeda nella Penisola Arabica. Attori con il potere di smembrare lo Yemen, frammentarlo definitivamente, e quindi renderlo meno controllabile anche per la longa manus saudita.

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