Le bombe hanno portato con sé il primo massacro: ieri raid dell’aviazione di Riyadh hanno colpito il campo profughi di Mazraq, a nord dello Yemen, e ucciso almeno 45 persone. Secondo l’Arabia Saudita l’operazione aveva come target i miliziani sciiti Houthi che dalla regione di Haradh, dove si trova il campo, si stavano spostando verso sud, verso lo strategico porto di Aden. Perché ad Aden che combatte la battaglia per lo Yemen: punto di transito del greggio del Golfo diretto in Europa e capitale ad interim del governo ufficiale, la caduta di Aden – dopo quella di Sana’a, capitale ufficiale – in mano al movimento ribelle Houthi è un’eventualità inaccettabile per il nuovo fronte sunnita anti-sciita.

È ad Aden che si stanno scontrando in queste ore i diversi attori impegnati, volenti o nolenti, nella guerra per procura tra Iran e Arabia Saudita: da una parte le forze militari governative del presidente fuggitivo Hadi, sostenute dalla coalizione guidata da Riyadh; dall’altra i ribelli sciiti, supportati dai fedelissimi dell’ex presidente Saleh, deposto nel 2011. Testimoni raccontano di esplosioni e colpi di artiglieria alla periferia della città, dopo l’avanzata Houthi lungo la costa: cinque i civili uccisi nella guerriglia urbana tra le due parti.

Sarebbero invece 8 le vittime del lancio di razzi contro la città di Daleh, a nord di Aden, sparati dai miliziani di Saleh. Tra loro due bambini. L’avanzata Houthi non intende arrestarsi: fonti locali hanno raccontato ieri che le forze fedeli a Saleh, insieme a miliziani sciiti, sono arrivate a meno di 30 km dalla città costiera. Al conflitto tra governo ufficiale e ribelli, si aggiungono le tribù sunnite locali, concentrate a sud, la zona più ricca di greggio: miliziani tribali hanno attaccato i combattenti Houthi in sostegno al presidente Hadi, fonte di stabilità economica per le tribù sunnite.

Ma a muovere le fila della guerra civile in corso in Yemen è il potente asse Riyadh-Il Cairo che ha gestito al meglio il summit dello scorso fine settimana della Lega Araba: il presidente egiziano al-Sisi e re Salman al-Saud hanno ottenuto quanto erano andati a cercare, una forza militare congiunta araba in chiave anti-Houthi. Ovvero in chiave anti-Iran, definito dal presidente yemenita Hadi il burattinaio dei ribelli sciiti, ma che per ora si limita a rispondere a parole: l’accordo sul nucleare non è ancora stato archiviato e Teheran preferisce concentrare le energie su Losanna, piuttosto che Sana’a.

L’esercito arabo dovrà contrastare le crescenti minacce alla sicurezza della regione, fanno sapere dal summit, ovvero intervenire su richiesta di qualsiasi paese arabo che affronti una minaccia alla sicurezza nazionale.

Al bastone re Salman affianca però la carota del negoziato: l’Arabia Saudita è aperta al dialogo con tutti i partiti politici yemeniti che intendono preservare stabilità e sicurezza del paese, ha detto il monarca. Un dialogo sponsorizzato «dal Consiglio del Golfo nell’obiettivo di salvaguardare la legittimità e sconfiggere i tentativi di distruggerla». Ovvero, tutti sono i benvenuti al tavolo del negoziato purché riconoscano l’attuale governo del presidente Hadi – voluto da Riyadh – come potere legittimo e abbandonino le armi.

Eppure i ribelli Houthi avevano chiesto più volte in passato l’apertura del dialogo al governo centrale, accettando in un primo momento anche la nomina del premier Baha, lo scorso autunno, pur di garantirsi maggiore riconoscimento politico. Il riconoscimento non è arrivato, anche su pressione saudita, e la ribellione è diventata l’arma sciita.

Cade Idlib, la roccaforte di Assad in mano ad al Qaeda

Sull’altro fronte aperto in Medio Oriente, l’avanzata Isis, a subire il colpo peggiore è il governo di Damasco: sabato scorso il Fronte al-Nusra, formazione qaedista siriana, ha occupato la città di Idlib, a nord ovest del paese. Sui social network account vicini al gruppo islamista hanno pubblicato foto della statua di Hafez al-Assad, padre dell’attuale presidente Bashar, attaccata dai miliziani.

Una vittoria consistente per il fronte islamista siriano: Idlib è vicina alla strada che collega Aleppo a Damasco e alla città costiera di Latakia, altra roccaforte alawita. A preoccupare è l’alleanza tra gruppi sunniti nata per la presa della città, tra al-Nusra e i movimenti Ahrar al-Sham e il Jund al-Aqsa. A nord il governo è scoperto: a ovest, a Idlib, c’è al Nusra; a est, a Raqqa, l’Isis.