Intervenendo ieri alla terza edizione del forum “Future investment initiative”, il ministro delle finanze saudita, Mohammed al Jadaan, ha esaltato le «riforme di ampia portata» che, a suo dire, avrebbero trasformato il regno dei Saud e il Golfo in un centro di investimenti internazionali. «Queste riforme sono state progettate per rispondere alle sfide che affrontiamo nella nostra economia», ha spiegato al Jadaan sottolineando l’incremento del 10% degli investimenti esteri diretti nel suo Paese. Per il colosso saudita però le cose non vanno così bene come sostiene il ministro delle finanze. Lo stesso al Jadaan ha dovuto ammettere che Riyadh, nonostante le cospicue, a dir poco, entrate generate dall’esportazione del greggio, il prossimo anno raggiungerà un deficit di bilancio di 187 miliardi di riyal pari a 49,86 miliardi di dollari. In crescita sul buco di oltre 40 miliardi di dollari con cui dovrà fare i conti alla fine del 2019.

 

L’Arabia saudita spende troppo in armi (statunitensi), per la guerra in Yemen e per finanziare la sua costosa politica estera: un interminabile gioco a scacchi di alleanze aperte o nascoste volto a fronteggiare le mosse del suo avversario, l’Iran. La produzione di greggio viaggia verso i livelli massimi ma il prezzo sul mercato di quello che un tempo era chiamato «l’oro nero» non aiutano abbastanza le finanze saudite. Il regno, ha detto al Jadaan, si aspetta entrate per 833 miliardi di riyal per il 2020, in calo rispetto ai 917 miliardi previsti quest’anno.

 

Questi dati giungono mentre si avvicina la conclusione della mega-operazione per la quotazione in Borsa del gigante petrolifero saudita Aramco. L’annuncio è atteso domani con l’incognita della valorizzazione che la società riuscirà spuntare. Riyadh punta molto su questa iniziativa, parte del piano di riforme “Vision 2030” che fa capo al principe ereditario, Mohammed bin Salman (MbS). E ripete agli investitori che il valore della Aramco è sui 2 mila miliardi di dollari. La valutazione dei mercati invece è inferiore, intorno ai 1.500 miliardi. MbS, artefice dell’operazione, ha fatto capire che gli andrà bene una valutazione sui 1.700 miliardi. Il principe ha bisogno di un successo anche per ricostruire la sua immagine internazionale appannata dall’accusa di aver dato il via libera nel 2018 all’assassinio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi, avvenuto nel consolato saudita a Istanbul.

 

“Vision 2030” pone l’accento sulle riforme strutturali, le privatizzazioni e lo sviluppo delle piccole e medie imprese. L’obiettivo, dichiarato da MbS, è rendere l’Arabia saudita meno dipendente dal petrolio e creare posti di lavoro per i giovani che  l’economia che, al momento, non pare in grado di generare. Il piano è giudicato troppo ambizioso dagli esperti.