Chi si ricorda del BOXEL? Un furgoncino rosso a trazione elettrica che si aggirava per le strade di Bologna a partire dal 1986 (fino alla metà degli anni novanta) costruita da Paolo Pasquini, geniale progettista e inventore di numerosi brevetti. Nel 1987 aveva partecipato a una gara internazionale a Parigi, nelle stradine del Bois de Boulogne, arrivando sesto, unico veicolo italiano su trenta provenienti dal mondo intero. Il fattore più importante era la giusta coniugazione tra velocità e durata della batteria. La sua aveva una maggiore durata e meno carico. Lo leggiamo nel libro a firma di Franco degli Esposti, Il sapere delle mani, dedicato all’artigianato e le sue storie, pubblicato nel 1990. Per arrivare a quella macchina elettrica Pasquini aveva investito l’intero ricavato dal regolare irregolare guadagno dalla produzione del cosiddetto barilotto, anch’esso di sua invenzione: il dispositivo per bloccare il vetro scorrevole nelle auto brevettato all’età di 21 anni e venduto alle maggiori case automobilistiche in Europa. Fabbricazione rigorosamente “in casa”. Come? “I singoli pezzi preparati da stampatori e artigiani trovati in provincia arrivarono nei grandi pacchi a casa per poi essere assemblati, uno per uno”, racconta Agnese Cammelli, la terza moglie che abbiamo raggiunto al telefono. Paolo lo conosceva da tempo, poi verso i 35 anni si sono ritrovati e lei si ricorda bene che di tanto in tanto chiamava gli amici per fare tutti assieme i barilotti. La macchina a trazione elettrica è stata l’opera della sua vita. Da sempre rapito dalla questione della mobilizzazione (forse perché il padre, invalido di guerra, aveva difficoltà a camminare, suppone la nostra interlocutrice) e dal campo elettrico, sin da giovane età si era dedicato al progetto sapendo dentro di sé che prima o poi la macchina a motore sarebbe stata da superare per eccessivo consumo di energia e il troppo inquinamento nelle città, soprattutto. Attirato dall’urbanistica durante gli studi di architettura a Firenze, vi si era dedicato con anima e cuore “per fare un passo avanti, trovare un compromesso, una sintesi più giusta tra mobilità, città e ambiente”. E ancora: “bisogna ridare dinamicizzazione, fluidità alla mobilità in città, per non farla morire”. Parole sue dette all’autore del succitato libro.

Il suo incubo era veder fermarsi le cose, per cui progettava ininterrottamente, anche sui tovaglioli di carta in osteria, per migliorare la sua creatura, pensando bene la struttura base da cui costruire macchine da usare in città e anche macchine da corsa. Nacque così la P-488, dove la P sta per Paolo, il numero 4 per le quattro ruote motrici e 88 per l’anno di costruzione – ci rivela Agnese Cammelli. Da domenica 16 marzo farà bella vista di sé presso il Museo del patrimonio industriale di Bologna nella nuova sezione a lui dedicata: a due anni dalla morte prematura per tumore arriva, come spesso accade, il riconoscimento postumo della sconfinata creatività e del potenziale inventivo. Si inaugura con l’iniziativa Paolo Pasquini (1946-2011) – genio e passione che prevede un incontro alle ore 17,30 nell’auditorium con l’architetto Antonio Bonomi e il pilota e collaboratore, Andrea Pavoni Coppola, con successiva visione del filmato realizzato da quest’ultimo: Il coraggio del BOXEL. “Lo faceva per divertimento – ci dice ancora Agnese Cammelli – a volte sembrava un bambino contento dei suoi giocattoli, altre poteva trasformarsi in grande dittatore per far eseguire i suoi progetti tecnici che rimasero per lo più dei prototipi, perché per entrare nella grande produzione lui non aveva gli strumenti”. Era un vero inventore, e mi viene in mente Walt Disney che non si fermava mai (al contrario della major che porta il suo nome e ha messo in cantiere un film d’animazione dopo l’altro), perché lui, una volta realizzata l’idea era già oltre, proprio come i suoi personaggi alla ricerca di un mondo migliore. Così era Paolo Pasquini, descritto come una persona meravigliosa, un vulcano di idee, un nottambulo capace di trascinare qualche amico in avventure inenarrabili, un folletto che fa entrare gli altri nel suo immenso immaginario.

Andrea Pavone Coppola, amico e pilota nelle gare, ricorda i mirabolanti retroscena della cronoscalata Bolzano-Mendola nel libricino con poetiche memorie degli amici pubblicato l’anno scorso in occasione della mostra organizzata a Palazzo Pepoli, dove già aveva annunciato di “voler arrivare in fondo alla realizzazione della loro elettrica avventura con un piccolo film”.

Il padre di Paolo era produttore di altoparlanti di alta qualità con un’azienda florida, finché i cinesi negli anni ottanta rovinarono il mercato, quando già durante la guerra aveva costruito le radio ricetrasmittenti che circolavano nell’ambito della resistenza, sapere ereditato a sua volta dal proprio padre che aveva collaborato con Marconi. Una generazione di spiriti creativi nel mondo tecnico.

L’ultima fatica di Pasquini era il veicolo agricolo a trazione elettrica per il progetto RAMSES, a cura di Toufic El Asmar, agronomo all’università di Firenze e di Ugo Bardi, per creare un nuovo modello di meccanizzazione in ambito agricolo basato su veicoli a batteria elettrica e risorse di energie rinnovabili (per chi vuole approfondire c’è il sito www.theoildrum.com dedicato a informazione su energia e futuro). RAMSES è un acronimo che sta per Renewable agricultural multiporpose systems for farmers (sistemi multifunzionali agricoli a energia rinnovabile per contadini) ma rinvia anche alla parola antica egiziana che significa “nato dal dio sole Ra”. Pasquini era stato contattato per collaborare a questo progetto complesso in cui sono coinvolti quattro paesi europei (Italia, Polonia, Spagna e Gran Bretagna) e tre sull’altra sponda del Mediterraneo (Giordania, Marocco e Libano). Ed è in quest’ultimo, a 35 km da Beirut, che è “in campo” perfettamente funzionante il primo prototipo dal 2009 presso il monastero Mar Sarkis e Bakhas. Ha l’aspetto di una vecchia Ape, raggiunge i 45 km orari e può essere usato per innaffiare, seminare, essere d’aiuto nella raccolta, ecc. Nella lunga descrizione però non compare mai il nome del suo progettista, come costruttore è indicata la sigla Oelle. “Lui ci aveva investito tutto e disse che voleva soltanto le royalties in caso di vendita, ma poi non apparve nemmeno il suo nome”, ammette con tristezza la sua ultima compagna di vita. Infatti soltanto in fondo all’articolo online menzionato compare una foto della prima presentazione a Modena nel 2008, dove si vede Pasquini in mezzo ai due autori del progetto e nella didascalia è menzionato come vehicle designer. Una delegazione era andata in Libano nel settembre scorso per vedere quel prototipo in azione, e va benissimo!

Un altro progetto era una macchina elettrica per muoversi nei grandi cimiteri, silenziosa, per rispetto di quei luoghi. Grande successo, poi non fu messa in produzione. Alla Fiat avevano acclamato il suo BOXEL come macchina geniale, e nemmeno il Comune di Bologna che gli aveva comprato il progetto per farne fabbricare oltre un centinaio poi non l’aveva più tutelato per far sì che potesse entrare in una produzione più ampia.